Verifiche sui vetrini consegnati dall'anatomopatologo
Cagliari. Non c'è ancora pace per Giuseppe Casu, l'ambulante morto il 22 giugno 2006 dopo sette giorni di contenzione alla psichiatria del Santissima Trinità: presto il suo corpo sarà riesumato. Alla Procura serve l'analisi del dna, per stabilire se i vetrini con i reperti istologici consegnati dall'anatomopatologo Antonio Maccioni ai consulenti dell'ufficio sono autentici oppure falsi come i pezzi anatomici repertati per l'autorità giudiziaria. A questo punto diventa fondamentale capire qual è stata la causa della morte: il referto firmato dall'anatomopatologa Daniela Onnis dopo l'esame condotto insieme a Maccioni parla di trombo embolia polmonare, ma il sospetto è che - come hanno sempre sostenuto i familiari di Casu, tutelati dall'avvocato Mario Canessa - sia stata la dose massiccia di sedativi a uccidere l'ambulante, sottoposto a pesantissimo trattamento sanitario obbligatorio (Tso). Se fosse andata così la posizione di Maccioni si aggraverebbe, perché all'accusa di frode processuale, ai tre falsi contestati - e alla sottrazione di parti di cadavere si aggiungerebbe un ulteriore tentativo di inquinare l'inchiesta giudiziaria. Soprattutto il pm Giangiacomo Pilia avrebbe in mano la conferma inoppugnabile che l'operazione di depistaggio c'è stata e forse non ha coinvolto soltanto Maccioni, che peraltro continua a parlare - l'ha fatto nell'interrogatorio di garanzia, mercoledì scorso - di uno scambio fortuito di contenitori, un semplice errore. Errore che a una nuova verifica della Procura non ha trovato alcuna conferma: l'autopsia cui il primario ha fatto riferimento per spiegare lo scambio di numerazione è stata compiuta un mese dopo, la successione numerica risulterebbe corretta.
Fra i tanti interrogativi una cosa è certa: l'indagine andrà avanti su tutti i fronti. Ieri mattina il pubblico ministero ha sentito i quattro necrofori dell'ospedale Santissima Trinità: non sanno nulla del recipiente. Di più: dai flaconi con l'etichetta 'au' (autopsia) loro girano sempre al largo, non sono autorizzati a toccarli né tantomeno a trasportarli fuori dal reparto di anatomia patologica. La competenza è tutta dei tecnici e quindi diventa fondamentale a questo punto l'interrogatorio - in programma per lunedì prossimo - del capo dei tecnici Stefano Esu, già sentito come testimone ma ora indagato per le stesse accuse di Maccioni. Lui potrebbe finalmente ricostruire il percorso del contenitore e fare luce sulle responsabilità.
Intanto emergono altri aspetti anomali della vicenda: la morte sospetta dell'ambulante ha finito per decimare il Santissima Trinità, come se fossero in molti a temere un cataclisma giudiziario. La prima è stata Daniela Onnis, l'anatomopatologa che ha firmato l'autopsia e subito dopo ha chiesto il trasferimento. Poi Maria Chiara Usala, altra specialista che ha preferito lasciare il reparto diretto da Maccioni per passare alla radiologia di un altro ospedale.
Un fuggi fuggi alimentato anche dalle partenze registrate in psichiatria, il reparto dove Casu è morto - secondo la Procura - in seguito ad una contenzione eccessiva, sette giorni sedato e legato ad un letto: qui si è dimessa immediatamente Maria Rosaria Cantone, poi finita a giudizio per omicidio colposo insieme al primario Giampaolo Turri. Perché tanta preoccupazione?
I difensori di Maccioni - gli avvocati Luigi Concas e Antonio De Toni - hanno presentato al gip Daniela Amato l'istanza di revoca della misura cautelare. Il pm Pilia ha dato parere negativo ("il pericolo dell'inquinamento delle prove resta") mentre l'Asl 8, dopo aver sospeso il primario in seguito all'arresto, attende la decisione del giudice. La sospensione è a tempo, se Maccioni tornasse in libertà dovrebbe cadere anche il provvedimento dell'amministrazione sanitaria. Paradossalmente lo psichiatra Giampaolo Turri, a giudizio per un reato colposo, non potrà rientrare in ospedale prima di cinque anni. Mentre Maccioni, colpito da accuse pesantissime e riferite a reati dolosi, potrebbe tornare in reparto.