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Una scritta fra le prove contro l'anatomopatologo
Mauro Lissa
Fonte: La Nuova Sardegna, 20 maggio 2008
20 maggio 2008

Cagliari. Sono due le prove che sembrano inchiodare l'anatomopatologo Antonello Maccioni (55 anni) all'accusa di aver sostituito i pezzi anatomici di un paziente deceduto in circostanze sospette nel reparto di psichiatria, per evitare guai al primario Gianpaolo Turri e alla collega Maria Rosaria Cantone: per il consulente grafico della Procura è lui ad aver scritto il nome Giuseppe Casu in un contenitore dov'erano conservati gli organi di un'altra persona.

Non solo: chiamato come testimone, il primario del Santissima Trinità aveva detto al pubblico ministero di non aver più visto quel barattolo di vetro dal giorno della perizia autoptica nonostante il collega Giovanni Mura l'avesse trovato, per consegnarlo alla polizia giudiziaria, proprio nella sua stanza. Altro indizio, non decisivo: a mezzogiorno del 30 gennaio 2007, quando l'ospedale venne informato del prossimo sequestro del materiale da parte del magistrato, risulta dai tabulati una telefonata fra i cellulari tra Maccioni e Turri. Che cos'avevano da dirsi, due primari di reparti così indipendenti l'uno dall'altro?
Domani il dirigente medico si presenterà insieme all'avvocato Antonio De Toni all'ufficio del gip Daniela Amato per l'interrogatorio di garanzia. Il difensore ha annunciato ai cronisti che Maccioni risponderà a tutte le domande, vuole chiarire ogni aspetto della vicenda per dimostrare la propria estraneità ai fatti.
Ma l'interrogatorio più significativo, per il pubblico ministero, potrebbe essere quello del capo tecnico Stefano Esu (50 anni): indagato per il concorso negli stessi reati, Esu potrebbe aver svolto il ruolo di semplice esecutore materiale del progetto di cannibalizzazione delle prove ideato - secondo la Procura e secondo il gip - da Maccioni. Alla fine quindi potrebbe dire quello che finora avrebbe taciuto per ragioni facili da immaginare, oggi cadute: candidato alla direzione dell'Oncologico e in corsa per altri incarichi prestigiosi, Maccioni è un medico potente, uno di quei governatori della sanità pubblica con cui i cagliaritani fanno i conti da sempre. Ora però Maccioni recita un ruolo diverso e molto meno temibile: deve difendersi da accuse che potrebbero costargli anche quindici anni di carcere e a leggere l'ordinanza del gip Amato tutti gli assi sembrano essere nelle mani della Procura. Al punto che il giudice, nel confermare pienamente l'esigenza degli arresti domiciliari, si spinge sino ad affermazioni categoriche: "La sequela di condotte antigiuridiche poste in essere dal Maccioni - è scritto nel provvedimento - è indicativa di una pericolosità particolarmente accentuata, cosicché si può ritenere non meramente probabile ma certo che egli, se libero, commetterebbe ulteriori delitti della stessa specie di quelli per cui si procede". Poi il magistrato aggiunge: "E' impensabile la concessione, nel giudizio, del beneficio della sospensione condizionale della pena". Secondo il giudice quindi dietro la figura di un autorevole stimatissimo primario di anatomia patologica, descritto come gentile e dai modi affidabili, frequentatore dei salotti centrali della Cagliari che conta, si nascondeva un personaggio capace di commettere reati gravissimi. Se questo è vero lo stabilirà il tribunale.
Ma andiamo per ordine, secondo la ricostruzione accusatoria. E' il 22 giugno del 2006 quando l'ambulante Giuseppe Casu muore nel reparto di psichiatria diretto da Giampaolo Turri dopo aver trascorso sette giorni legato a un letto e sedato con dosi massicce di farmaci.
Il tso - trattamento sanitario obbligatorio - era stato richiesto dal sindaco di Quart perché Casu si ribellava con atteggiamenti aggressivi agli ordini di sgombero della sua bancarella dalla vendita stradale. Parte un esposto dei familiari e l'Asl 8 nomina una commissione interna per accertare i fatti.
Sono guai grossi per Turri e per il medico Maria Rosaria Cantone, che si dimette all'istante. Il primario e la collega finiscono a giudizio per omicidio colposo - il dibattimento si è appena aperto - ma nelle more del procedimento è un'altra vicenda ad accendere l'attenzione del pm Pilia: il consulente anatomopatologico Giovanni Frau, incaricato di stabilire quali siano le cause della morte di Casu, scopre che i reperti anatomici consegnati dall'ospedale per l'esame scientifico non sono quelli originale. Se ne accorge dalle fotografie e dai verbali dell'autopsia, condotta da Maccioni ma firmata per ragioni inspiegabili dalla collega Daniela Onnis alla presenza di Turri. Il primario spiega tutto come un errore, uno scambio di contenitori che avrebbe indirizzato all'inceneritore quello coi resti di Casu. Pilia però sente puzza di bruciato: la testimonianza della Onnis alimenta i sospetti, il capo tecnico Esu - che aveva fatto annotazioni di prassi sul coperchio del contenitore - dice di averlo rivisto senza la chiusura ermetica. Una cosa è certa: nel barattolo col nome Giuseppe Casu non ci sono gli organi dell'ambulante, ma quelli di un altro paziente morto dopo di lui per la stessa malattia, una trombo embolia polmonare. C'è invece la scritta 'non eliminare, a disposizione del magistrato'. Il primario aveva sempre negato: "Mai scritto nulla, se ne occupano i tecnici". Il pm va avanti e chiama Maccioni: lo invita a scrivere il nome 'Giuseppe Casu' un contenitore uguale a quello originale. Lui scrive tranquillo e consegna alla Procura la prima prova della sua presunta colpevolezza: la grafia è per il perito Alessandra Piredda "attribuibile con assoluta certezza alla mano del Maccioni". Così come sono di Esu le altre annotazioni. Il resto arriva con le indagini. Le accuse contestate sono le stesse per i due indagati: sopressione di parti di cadavere, favoreggiamento, falso materiale e ideologico, frode processuale.