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Due articoli da Unione Sarda: intervista a Natascia Casu e la relativa risposta del sindaco
Fonte: Unione Sarda
5 marzo 2008

Recuperiamo due importanti articoli sulla vicenda di Giuseppe Casu, entrambi usciti su L'Unione Sarda il 30 settembre e il 1 ottobre 2007:
- un'intervista a Natascia Casu
- la relativa risposta del sindaco


Unione Sarda 30.09.07

Il caso. Pesanti accuse dei familiari dell'ambulante morto nel reparto di Psichiatria del Santissima Trinità
"La verità sulla morte di nostro padre"
La figlia Natascia: un ricovero avvolto nel mistero

Giuseppe non era malato di mente e i familiari sospettano che il ricovero coatto sia stato deciso perché continuava il suo commercio ambulante abusivo nonostante l'orine di sgombero.

La famiglia di Giuseppe Casu si affida alla grinta dolce di Natascia, la penultima di cinque figli dell'ambulante quartese morto al Santissima Trinità il 22 giugno dello scorso anno durante un ricovero coatto. A 27 anni deve fare i conti con la disoccupazione, come tanti suoi coetanei, ma ora è pressata da un problema più grave: "Vogliamo capire, vogliamo sapere, vogliamo la verità. Come è morto mio padre, perché è morto? Aveva 61 anni e ne dimostrava molti di meno, fisicamente era sanissimo, soffriva di epilessia e si curava, non ho mai saputo di malattie mentali, non era alcolizzato. Aveva alcune nevrosi, questo sì, ed era un tipo stravagante al punto che qualcuno scherzava, unu maccu, niente di più". Insomma: per i familiari del paziente ricoverato in Psichiatria il 15 giugno 2006, sedato e legato al letto fino alla morte (causata da una trombo embolia dell'arteria polmonare) il trattamento sanitario firmato dal sindaco di Quartu su proposta di due psichiatri non era necessario. Di più: non aveva alcuna ragione di essere. Casu era l'unico degli abusivi di piazza IV novembre a non voler sgombrare nonostante le numerose multe, salatissime. Dunque, era un problema. Il dubbio -terribile-dei familiari è che il ricovero forzato sia stato deciso per risolvere un problema di ordine pubblico.
Ricorda Natascia: "Il 15 giugno mio padre è uscito alle 7,30, come sempre, la piazza è vicina a casa e mio fratello aveva preso li il pullman per andare al mare, mia madre e mia sorella l'avevano attraversata per andare alle Poste. Mio padre era li, tranquillo. Intorno all'una ci ha chiamato un ragazzo per dirci che era stato arrestato. Ci siamo precipitati, una vigilessa mi ha detto che gli avevano dovuto fare un tso, non sapevo neanche che cosa fosse, allora ho saputo che aveva dato in escandescenza e lo avevano ricoverato. Alle tre pomeriggio eravamo in ospedale, il medico ci ha informato che mio padre era agitato e lo avevano dovuto legare. Ci siamo spaventati ma di fronte a un dottore non avevamo alcun motivo di dubitare anche perché in quell'ospedale a mia madre avevano salvato la vita. Mio padre era sedato così è entrata solo mia madre, dopo pochi minuti è uscita in lacrime".
Il giorno dopo, la rabbia: sul giornale c'era un articolo con la storia dello sgombero e del ricovero, con tanto di fotografia. "Hanno agito con urgenza, eppure c'è stato il tempo di avvisare giornalista e fotografo, non la famiglia però", si infervora Natascia. "Mia madre in ospedale ha fatto uno scandalo, io ho controllato se mio padre avesse segni e ho notato la mano destra, gonfia e viola. Il giorno dopo era fasciata, un ortopedico aveva chiesto una radiografia che però ancora non era stata fatta. Il 17 mio padre cominciava ad acquisire lucidità e chiedeva di essere slegato, non era aggressivo, anzi, scherzava. Ci dicevano che non era ancora possibile rimuovere le fasce di contenzione. Abbiamo visto sangue nella sacca delle urine, ci hanno risposto che si era ferito nel tentativo di strappare il catetere. Il 20 stava molto meglio, tanto che ci ha ricordato di pagare l'ici, il giorno dopo voleva andar via e ha chiesto al mio fidanzato di chiamare i carabinieri perché era trattenuto in ospedale contro la sua volontà. Purtroppo non lo abbiamo fatto e ora non facciamo altro che pensarci. Il 22 giugno all'alba ci hanno telefonato dall'ospedale: mio padre stava male, hanno voluto sapere se soffrisse si cuore, risposta negativa. Quando siamo arrivati era già in camera mortuaria, finalmente slegato, in realtà era già morto nella notte, non sappiamo a che ora". Natascia non versa una lacrima ma il dolore, il rammarico, la tensione traspaiono da ogni movimento: le mani a tormentare i lunghi capelli neri, le palpebre a strizzare di continuo gli occhi, un sorriso nervoso a piegare la bocca. "Il primario ci ha detto che dovevano fare l'autopsia per capire e io ho subito pensato ci fosse qualcosa di strano, anche se ho cercato di non farlo intendere. Dopo aver parlato con gli amici di mio padre, i colleghi, i compagni di partito, i conoscenti, ci siamo decisi e abbiamo presentato un esposto". Ma non era finita, doveva ancora esplodere la storia dei pezzi anatomici spariti: "Quella notizia ci ha sconvolto", dice Natascia. "Non accuso nessuno perché non so cosa sia successo ma i fatti parlano da soli. Sarà il magistrato a far chiarezza, certo è una vicenda inquietante".

La denuncia. Secondo i promotori occorre scavare nel lavoro che svolgeva il paziente
Un comitato: giustizia per l'ambulante

Dopo la morte dell'ambulante quartese è nato un "Comitato Verità e Giustizia per Giuseppe Casu" con tanto di sito internet. Francesca Ziccheddu, Alessandro Dettori e Ugo Atzori sono alcuni dei promotori che tutti questi mesi si sono attivati richiamando l'attenzione anche del Parlamento. "Giuseppe è morto per un problema pollitico", dice senza tanti giri di parole Atzori. " Col ricovero coatto è stato tolto dalla piazza che si voleva sgomberare dagli ambulanti abusivi. Il Comune di Quartu aveva lanciato la guerra e Casu era l'unico a resistere".
Insiste Dettori: "Il sospetto è che il Tso sia stato utilizzato per motivi di sicurezza". Accuse gravissime ma il comitato ha alcune foto che mostrano Casu tranquillo mentre fuma il sigaro e discute con i carabinieri. "Il clima era rilassato", dice Ziccheddu, "noi crediamo che la situazione sia precipitata quando Casu ha capito che lo avrebbero portato via con la forza".
Il comitato seguirà il caso fino a quando non salterà fuori tutta la verità, a cominciare dal ricovero coatto. Aggiunge la Ziccheddu: "Ci è sembrato un fatto grave il Tso, e anche il modo in cui Casu è stato trattato. Era un personaggio problematico, ostinato e testardo, commerciante abusivo per forza visto che aveva solo la terza elementare e dunque non poteva ottenere la licenza. Ciononostante pretendeva di lavorare in piazza. I vigili di Quartu, e risulta pure da una risposta a un'interrogazione consiliare, gli avevano fatto una lunga serie di multe, dal maggio 2005. Ma lui stava sempre lì. Anche il giorno prima gli avevano contestato una multa di 5.000 euro. Ci siamo allarmati per il trattamento subito da Casu: prelevato contro la sua volontà davanti a tutti in piazza, alla presenza di un fotografo del giornale ma all'insaputa della famiglia, legato al letto, ucciso da una trombo embolia dopo sette giorni di ospedale. In questa vicenda è tutto molto strano, a cominciare dal modello prestampato utilizzato per il Tso, e neanche compilato in tutte le parti, per finire con la convalida, arrivata al giudice tutelare con cinque giorni di ritardo: il 21 giugno, 24 ore prima della morte".

La procura
Sulla vicenda aperte due inchieste
Sono due le inchieste sulla morte dell'ambulante. Nella prima il direttore di Psichiatria del Santissima Trinità Gian Paolo Turri è indagato per omicidio colposo; nella seconda, per distruzione di cadavere, si procede contro ignoti.
Turri è finito sotto accusa perché " fu ricoverato in quanto affetto da "stato di agitazione psicomotoria" venne sottoposto a contenzione fisica con quattro nastri e una fascia al torace e contestualmente gli venne praticata una terapia farmacologica per tutta la durata dal ricovero, fino al 22 giugno, data del decesso del paziente per trombo embolia dell'arteria polmonare. La contenzione fisica fu lecitamente prescritta ma poi continuata in modo non conforme a quanto prescritto dalla scienza medica, atteso che non vennero richieste consulenze specialistiche e, comunque, non vennero effettuati controlli clinici strumentali e di laboratorio e plurigiornalieri delle condizioni del paziente, non vennero prescritte attività motorie a scopo preventivo tendenti a ridurre, per quanto possibile, l'immobilità e quindi stasi, non venne prescritta una terapia preventiva antitrombotica ovvero non venne sottoposto al controllo dei sistemi coagulativi".
La seconda inchiesta si concentra invece su Anatomia patologica dello stesso ospedale: da quel reparto son spariti i pezzi anatomici sui quali avrebbero dovuto lavorare i consulenti del pm per chiarire le cause della morte di Casu.
Maria Francesca Chiappe



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