Può essere che prima dell'arrivo in Sardegna del vento di cambiamento (un bel maestrale che ha spazzato via quanto di peggio eravamo abituati a vedere e a mal sopportare), che fortemente in tantissimi abbiamo voluto e sostenuto (in particolare nella sanità e nella salute mentale), non una voce, tra quelle che oggi urlano tanto chiedendo pistoleri armati fino ai denti dentro un servizio ospedaliero (il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura è appunto servizio ospedaliero e non sezione speciale di una galera!), ha pensato, negli anni, di tentare una seppur minima protesta sulle condizioni di vita dei pazienti e sulle condizioni di lavoro degli operatori (amplificate quotidianamente con titoloni ad effetto nelle pagine dell'Unione Sarda)? Eppure tra le voci che oggi si levano alte a urlare "dateci le guardie giurate!" vi è il Primario dello stesso servizio ospedaliero che, due responsabili fa, governava il Dipartimento di Salute Mentale della ASL N°8. E quando faceva il Direttore del Dipartimento e poi il Direttore del Servizio di Diagnosi e Cura non ha pensato che il servizio andava sdoppiato perché fuori legge! Non lo pensava l'Ordine dei Medici, non lo pensavano i partiti che oggi chiedono le dimissioni dell'Assessore Dirindin (molto apprezzata guarda caso dai cittadini e dalle Associazioni). Quel Servizio Psichiatrico Ospedaliero ha trenta posti letto da quando, oltre 30 anni fa, è stato inaugurato, e le uniche voci che si sono levate alte a protestare sono state le nostre e quelle degli operatori che, allora come ora, pensano che alle persone con sofferenza mentale debbano essere offerti servizi di alta qualità. Giusto per la cronaca, ricordiamo che fummo noi, con una petizione accompagnata da oltre 12 mila firme, a porre la "questione psichiatria" all'attenzione del Consiglio Regionale della Sardegna e sempre noi a chiedere inutilmente a tutti gli Assessori che si sono succeduti nell'ultimo ventennio un Piano che, nel rispetto della normativa Nazionale, modificasse lo stato di povertà materiale e culturale in cui versava complessivamente il settore della "salute mentale" fatta eccezione per alcune piccole punte avanzate. Non dimentichiamo che in Sardegna i manicomi si sono chiusi nel '98 con una bella deportazione, in altri piccoli manicomi di operatori e pazienti (e i pessimi risultati ancora oggi si possono toccare con mano) e i servizi territoriali (fatte salve sempre le pochissime eccezioni) erano appunto "ambulatori" male organizzati e non centri di salute mentale come da trenta anni (!) noi attendiamo. E allora? Qual è il punto! Che finalmente in Sardegna grazie al vento di maestrale si respira una straordinaria aria di cambiamento. E qualcuno, di questo cambiamento, ha paura perché significa cambiare le pratiche, umanizzare i luoghi, guardare le persone in faccia, interpretarne i bisogni, dare risposte, restituire speranza, mettere in pratica nuove strategie, tentare strade prima mai intraprese, lavorare in èquipe, lavorare in rete, individuare risorse materiali e immateriali, conoscere il territorio, riconoscere i saperi e le competenze degli utenti e dei loro familiari. Insomma: lavorare, lavorare, lavorare. Ponendo al centro della propria azione e del proprio interesse professionale la persona umana. Chi non è disponibile può sempre chiedere di lavorare da un'altra parte; noi sollecitiamo i responsabili della sanità ad accogliere le richieste; nella Pubblica Amministrazione per fortuna è possibile. Detto questo, noi siamo anche preoccupati, molto preoccupati, perché ci pare che qualcuno stia premendo a fondo l'acceleratore della produzione di caos. Se andiamo ad analizzare la stampa dell'ultimo quinquennio (senza andare troppo lontano) non troveremo nulla di ciò che invece sta accadendo da un paio d'anni a questa parte (appunto da quando è arrivato il vento di cambiamento). Non vorremo quindi che le ansie e le preoccupazioni di altra natura stiano pesantemente condizionando un delicato ambiente di lavoro che dovrebbe invece restare neutrale a qualunque vicenda di ordine politico o personale. Violenza chiama violenza e noi vogliamo, pretendiamo, che il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Cagliari venga messo nelle condizioni di offrire aiuto alle persone che vi si rivolgono. Ci domandiamo quindi per quale ragione la notte del 23 febbraio non è stata accolta la richiesta di ricovero volontario avanzata da Simone (il nome lo apprendiamo dall'Unione Sarda che per sensibilità non riferisce il cognome ma si preoccupa di sottolineare che "pretende di essere ricoverato" e che "neppure l'aria fresca lo tranquillizza"). Ci chiediamo per quale ragione il medico rifiuta il ricovero ma prescrive una terapia. Ci chiediamo ancora come mai in presenza di una situazione già conosciuta (che poteva scatenare una reazione prevedibile) non si è pensato di chiamare gli operatori del servizio territoriale che Simone conosce e la sua stessa famiglia. Insomma ci chiediamo perché non è stata accolta la richiesta di aiuto. Ci chiediamo se è questa richiesta non accolta che ha fatto "scatenare" il gravissimo episodio. Ci chiediamo com'è che da un pò di tempo a questa parte, in Sardegna, a Cagliari, servono le forze dell'ordine per fare ciò che da altre parti fanno gli operatori della salute mentale. A leggere le minuziosissime cronache dell'Unione Sarda sembra che ci sia sempre lì pronto un giornalista col blocco notes in mano in attesa che accada qualcosa, che puntualmente accade. E' evidente che in quel reparto c'è un problema. E' evidente che il rinvio a giudizio per omicidio colposo di due psichiatri (compreso il Primario) richiede una precisa assunzione di responsabilità. E' evidente che né gli operatori, né i pazienti possono sopportare ulteriormente una tale tensione e che tutti devono essere messi nelle condizioni di sicurezza. Chiediamo quindi che vengano presi gli opportuni provvedimenti affinchè venga ripristinato un clima di maggiore serenità all'interno del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura e che l'operatività di tale Servizio risponda (nel rispetto della normativa vigente) a delle pratiche assistenziali e mediche rispettose della dignità umana e della libertà della persona. Infatti è ancora in uso la contenzione fisica (tanto per capirci: legare un essere umano mani e piedi ad un letto), le porte sono chiuse a chiave e si pratica l'elettrochock. Di recente si è costituita a Merano l'Associazione "Club S.P.D.C. aperti non restraint". A dar vita a questa associazione, in occasione del Convegno "Soteria e no restraint", sono stati gli operatori di 16 servizi psichiatrici di diagnosi e cura italiani che operano con le porte aperte e senza contenzione; una sparuta minoranza dei 321 servizi di diagnosi e cura censiti da "Progress acuti" nel 2004. Ecco, poiché esistono Servizi che da 30 anni curano nel rispetto dei diritti e nella libertà, forse si può attingere dalla loro esperienza per capire come si fa (noi non temiamo le esperienze oltre mare perché le consideriamo un arricchimento culturale). Nel consigliare quindi di intraprendere anche questa strada, cogliamo l'occasione per ribadire il nostro apprezzamento e la grande fiducia che centinaia di famiglie ripongono nel grande impegno che la Regione tutta sta mettendo in campo per la salute mentale. Apprezziamo lo sforzo che tanti operatori stanno facendo per rispondere in tempi ragionevoli alle nuove sfide che gli investimenti finanziari hanno reso possibili. Ci dispiace che non tutti abbiano colto la grande opportunità che la Sardegna per volontà del Presidente Soru e dell'Assessore Dirindin sta vivendo e che il resto d'Italia guarda con interesse. E ci dispiace che parte della stampa locale non tuteli il diritto/dovere alla corretta informazione. Inoltre, ricordiamo a quanti temono che "ci scappi il morto" che purtroppo è già accaduto e si trattava di un Signore di 60 anni morto al Diagnosi e Cura di Cagliari mentre stava legato nel suo letto di dolore, imbottito di psicofarmaci, da 7 lunghissimi e terribili giorni. Forse il torto della Dott.ssa Del Giudice (donna e psichiatra stimatissima in tutto il Paese) e del Dott.Gumirato (manager di grande umanità e competenza) è stato quello di non far finta che la questione fosse di poco conto, accogliendo la richiesta della nostra Associazione di far luce su quanto accaduto. Noi chiediamo a chi pensa di utilizzare le nostre tragedie per indurre al silenzio gli avversari politici, di cambiare "strategie" perché non è sulla pelle dei nostri figli che si può pensare di vincere. Sarebbe ignobile.
Cagliari 25.02.2008
La Presidente
Gisella Trincas