«Mi volle incontrare un poliziotto, qualche anno dopo i fatti. Un ufficiale, venne in divisa al bar. Si fece vicino, s´informò degli sviluppi sulla morte di Giorgiana Masi. Gli dissi che l´inchiesta per omicidio era stata archiviata. Il giudice prendeva atto che il proiettile che aveva ucciso Giorgiana era di un calibro piccolo, non in dotazione alle questure, diverso dalle armi in uso quel giorno. La risposta dell´ufficiale mi gelò: è vero - mi disse - i poliziotti non usano quel calibro nelle operazioni di ordine pubblico. Ma nel poligono di Nettuno, i tiratori scelti si allenano proprio con quel calibro. Dopo la "soffiata", girò i tacchi e non l´ho più visto né sentito».
Tano D´Amico ha ormai 64 anni ed è ancora "in giro". Bazzica i posti degli ultimi, fotografa i volti che nessuno vede, cerca l´umanità dov´è più disperata e vera. Ama i giovani. Nel 1977 i giovani erano per strada, come Giorgiana, uccisa il 12 maggio durante i disordini in un sit dei radicali. Sul Corriere della Sera in edicola ieri, in un´intervista ad Aldo Cazzullo, il senatore a vita Francesco Cossiga ha raccontato la sua storia, il ´77 visto dal Viminale, il contenimento dei movimenti, i rimpianti, i vanti. Ha parlato di Giorgiana, senza tatto: «Avevo supplicato Pannella in ginocchio: non fate la manifestazione in Piazza Navona... non siete in grado di proteggervi dagli infiltrati». Chi fu a sparare, chiede Cazzullo. «In cinque sappiamo la verità. Non la dirò in pubblico. Ma il capo della mobile mi confidò di aver messo in frigo lo champagne, da bere quando sarebbe emersa la verità», ricorda il senatore, inducendo a pensare che Giorgiana sia stata uccisa dal "fuoco amico".
Non dirà la verità in pubblico, e non ha più senso che lo faccia in privato. Perché i genitori di Giorgiana sono sotto terra, morti di crepacuore, consumati da quel giorno infinito, il 12 maggio del 1977. Quando torna sui giornali la storia della Masi, si vede quella foto, il poliziotto in borghese con la rivoltella in mano.
È il suo scatto, la foto di Tano D´Amico.
«È morta Giorgiana, sono morti i suoi, sono morti i giovani. Quel pomeriggio l´ordine era di farla finita coi contestatori, con chi metteva in discussione il ruolo di chi comandava».
Qualcuno non contestava e basta: sparava, uccideva.
«Ho letto il rimpianto di Cossiga per aver "perso" - a causa dell´intervento dei blindati - molti ragazzi, passati alla lotta armata. Sembra uno di quei film americani quando fanno vedere le malefatte dei pellerossa cattivi. Certo, esistevano. Ma erano una goccia rispetto alla verità storica, al genocidio dei bianchi contro gli indiani d´America. Cossiga conferma una cosa nota: una parte di questo Paese non è interessato alla verità, subordina il valore della verità ad altre ragioni».
Dove sono finiti i giovani?
Sono stati assenti dalla vita pubblica per vent´anni. Sono ricomparsi contestando la globalizzazione. A Genova c´erano in piazza le monache e i punk, non solo operai e studenti. Era una cosa enorme. E anche lì c´è scappato il morto... Oggi i giovani emergono sono acquiescenti, a testa bassa, hanno già sposato modi e pensieri dominanti. E spesso sono raccomandati».
Quello scatto le piace?
«Sì, quella foto è riuscita a vivere di vita propria. Al di là della denuncia vive perché è l´immagine dell´agguato. Dello Stato che tende trappole ai cittadini, che governa con l´inganno, con i morti....è lo Stato di quegli anni. Lo stesso Cossiga - sulla vicenda Masi - mentì ai cittadini e al Parlamento».
Sono le foto di quegli anni.
«Il mio lavoro era in quel fermento. Come i ragazzi in strada: una voce diversa, forte, non lineare. Occupavamo un posto vuoto. Fra la fine degli anni sessanta e il 1977 nacquero movimenti, giornali, riviste. Perché quello che esisteva non bastava, e con le foto cercavo di riempire uno spazio».
Cosa accade, quel giorno, a Roma?
«Non si può sapere con esattezza. Ma l´idea che qualcuno conservi lo champagne in ghiaccio per festeggiare, è terribile, agghiacciante. Anche si scoprisse che l´assassino è il più impensabile, che festa è? Così si calpesta la memoria di una ragazza che non può più difendere nessuno. E se c´è qualcuno che vuole brindare a quegli anni, provo pena. Il giorno dei funerali, le compagne di scuola di Giorgiana volevano partecipare, chiesero di lasciare per mezza giornata la scuola, dalle parti di Roma Nord. Furono ricacciate in classe minacciate con colpi di arma da fuoco esplosi per aria».
Che fa lei oggi?
«Il fotografo. Vado nei cantieri dove muoiono i lavoratori. Vado fra gli immigrati, fra i precari. Non ho un contratto di lavoro, non ho mai avuto il posto fisso, campare è complicato, ma i miei sono ancora scatti liberi».