In merito alla lettera del Senatore Nicola Mancino apparsa il 17 Marzo 2011 sul quotidiano La Repubblica, desideriamo fare una precisazione. Ci sentiamo obbligati a farlo, per il prezzo che abbiamo pagato in termini di vite umane. Un prezzo troppo, troppo alto, come quello sofferto ogni giorno dai troppi invalidi sopravvissuti al massacro di via dei Georgofili, che aspettano e pretendono e reclamano verità.
Nella sua lettera, il Senatore Mancino conclude che "le confessioni a rate dei pentiti che durano lustri vanno considerate con particolare attenzione, anche per valutare se esse siano un tardivo ricordo o un atteggiamento facilitato dalla lettura dei quotidiani".
Noi preferiamo utilizzare il termine "collaboratori di giustizia" a pentiti, poiché la dimensione intima è una sfera che non ci riguarda. Quello che ci riguarda è ciò che essi dicono quando decidono di collaborare con la giustizia, le loro parole.
Quando le loro parole sono state riscontrate in modo oggettivo, i collaboratori di giustizia sono stati fondamentali, indispensabili. Sono stati quanto di più prezioso si possa immaginare perché si arrivasse a condannare la mafia, "cosa nostra", per tutti gli attentati terroristici del 1993.
È certo che i magistrati considerino "con particolare attenzione" le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, come sostiene il senatore Mancino; ciò che ci trova fortemente in disaccordo è la lettura delle "confessioni" come "atteggiamento facilitato dalla lettura dei quotidiani".
Un punto di vista, questo, che ci trova in totale disaccordo poiché, con queste parole, il rischio reale che si corre non è quello di confutare le parole dei collaboratori, quanto quello di sminuire e mettere a repentaglio il lavoro dei magistrati, coloro che hanno il compito delicato e incredibilmente importante di accertare la veridicità oggettiva delle dichiarazioni rese.
Ma c'è anche altro che non ci torna. Come possono essere "atteggiamenti facilitati dalla lettura dei quotidiani" i racconti dei collaboratori, quando, in molti casi, essi sono già stati messi a verbale in tempi assolutamente non sospetti per poi essere "semplicemente" ripetuti in seguito, fino ai giorni nostri?
Il nostro sospetto, purtroppo, è quello che denunciamo quotidianamente ormai da anni, nella nostra battaglia per la verità. E cioè che troppi sono gli scudi che si levano quando le dichiarazioni dei collaboratori parlano non di appartenenti alla mafia, ma di politici e politica.
È con grande serenità che noi continuiamo ad invocare un processo ai "mandanti esterni alla mafia" mirato all'accertamento della verità. Quella verità, egregio direttore, alla quale noi crediamo di avere un sacrosanto diritto.
Cordiali saluti
Giovanna Maggiani Chelli
Presidente Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili