"Omissione, manifesta illogicità, contradditorietà della motivazione". Queste parole inequivocabili, con le quali il pm Rotondo ha motivato il suo ricorso, introducono uno dei paragrafi della sentenza della v sezione della Cassazione, emessa lo scorso 27 settembre e diffusa solo pochi giorni fa, con la quale la decisione del Tribunale del Riesame del Salerno - in merito all'annullamento dell'interdizione dalla professione sanitaria dei medici coinvolti nella vicenda in cui Francesco Mastrogiovanni ha perso la vita - è stata a sua volta annullata e rispedita ai giudici salernitani, per una nuova pronuncia.
Dopo che nei mesi scorsi si era pronunciata allo stesso modo per quanto riguarda la posizione degli infermieri del reparto di Psichiatria del San Luca di Vallo della Lucania, la Cassazione ha in pratica chiarito che, a differenza di quanto hanno decretato i giudici del Riesame, sussiste il concreto rischio di recidiva per i medici che hanno avuto in cura il maestro di Castelnuovo Cilento- deceduto dopo 82 ore di contenzione ininterrotta e atroci sofferenze. E lo fa esplicitando in maniera limpida e dettagliata le motivazioni per le quali la decisione di reintegrare di fatto alla professione i 18 sanitari coinvolti si poggiasse su un impianto "illogico, incompleto e contraddittorio"; queste valutazioni, d'altronde, sono in pratica le stesse che avevano avanzato i legali della famiglia Mastrogiovanni e i rappresentanti del comitato "Verità e giustizia per Franco Mastrogiovanni" all'indomani della decisione del Riesame.
Tutto ruota intorno alla discrasia tra una parte consistente della pronuncia del Riesame in cui, nella sostanza, si confermavano tutti i gravi indizi di colpevolezza a carico degli imputati, fatta eccezione per il primario Michele Di Genio, e un'altra in cui non si riscontrava il pericolo di recidiva, anche in relazione alle difficoltà organizzative e alle carenze di organico del reparto. Secondo la Cassazione, la decisione del Riesame è incompleta perché non tiene in considerazione gli altri casi accertati di contenzione illegittima, verificatisi nel reparto di psichiatria. Si legge : ".. i risultati delle indagini di polizia giudiziaria, da dove risulta che, al di là di quanto è accaduto a Mastrogiovanni e Mancoletti, altri pazienti hanno segnalato anomalo e illegittimo ricorso di strumenti di contenzione a se stessi o ad altri e in alcuni casi tale trattamento non era stato annotato nella cartella clinica. Nei motivi vengono elencati date e contenuti delle deposizioni di pazienti e i relativi accertamenti effettuati sulla documentazione reperita presso l'ospedale; da essi deriva la conferma della non eccezionalità dei due fatti inizialmente ricostruiti e della diffusa violazione di norme penali, di norme sanitarie, di regole di rispetto della dignità umana."
Dunque le violazioni facevano parte di una prassi procedurale del reparto, dice la Cassazione, che rincara la dose scrivendo di "un ulteriore vizio della esposizione delle ragioni poste a base dell'esclusione delle esigenza di prevenzione speciale. Tale esclusione è fondata sul nesso causa/effetto stabilito dall'ordinanza ( del Riesame, ndr) tra "situazioni fortemente emergenziali" dell'organizzazione del servizio nell'ospedale - derivanti dal documentato sottodimensionamento dell'organico del personale medico e paramedico - e le condotte ascritte agli indagati. [...] va rilevato che questa valutazione non è corrispondente alle risultanze processuali e alla loro logica interpretazione." Dunque "è imprescindibile la presunzione che questo modo di agire rientra nel bagaglio professionale degli indagati, presunzione che si traduce nella sussistenza dell'esigenza (cautelare di interdizione dalla professione, ndr)".
La decisione della Cassazione, oltre a riconoscere l'evidente pericolo di reiterazione dei comportamenti dei medici, sancisce, a differenza di quanto fatto dal Riesame, le responsabilità del dirigente Di Genio e riconosce evidenti indizi di colpevolezza anche a suo carico. Si legge: " è ravvisabile l'ingiustificata omissione, da parte del tribunale, dell'esame e della valutazione degli elementi emersi nel corso delle indagini ed evidenziati dalla pubblica accusa. Agli atti sono acquisite le dichiarazioni dimostrative della sua violazione del potere - dovere di fornire a tutto il personale del reparto informazioni di carattere programmatico, per un efficiente svolgimento dell'attività sanitaria, con particolare riguardo al più difficile e delicato atto sanitario assistenziale, costituito dalla misura di contenzione, di cui sono universalmente noti i pericoli di sconfinamento nel trattamento disumano e nell'illecito penale. Risulta anche dagli atti l'omessa istituzione di una documentazione (il registro delle contenzioni) correlata al processo dinamico, proprio di questo trattamento, e funzionale all'esigenza di un sua continua rivalutazione, sia nel perseguimento dei suoi obiettivi, sia nei suoi standard procedurali".
La Corte spiega inoltre che la posizione dell'ex primario non è giustificabile mediante gli aspetti messi in luce dalla difesa; nello specifico: la presunta delega fatta da Di Genio ad uno dei medici del reparto, in relazione alle funzioni di guida del reparto, non c'è, alla luce delle " seguenti emergenze rinvenibili negli atti, che ne smentiscono la sussistenza: 1.Il dottor B. nega di aver ricevuto questa delega; 2. la delega non è mai stata riconosciuta dall'organo competente." Inoltre, la Cassazione evidenzia che il Riesame non ha tenuto conto della tesi dell'accusa secondo la quale "il congedo del dirigente - la cui durata coincide con i giorni di ricovero del Mastrogiovanni - corrisponda non a un dato storico ma a un elemento della strategia difensiva, costruita nel corso delle indagini. Nè viene esaminata la circostanza della presenza del Di Genio nella camera di Mastrogiovanni dimostrata dalle registrazioni del circuito televisivo interno."
Ora la palla ritorna al Tribunale del Riesame di Salerno per una nuova pronuncia che, alla luce dei rilievi effettuati dalla Cassazione, dovrà con ogni probabilità riconoscere l'esigenza della misura cautelare per i sanitari del reparto di psichiatria dell'ospedale di Vallo della Lucania su cui gravano pesanti imputazioni: sequestro di persona, morte come conseguenza di altro delitto, falso.
D'altronde, gli stessi giudici del Riesame descrivevano: "una progressiva scadenza della qualità del servizio sanitario offerto, con inaccettabile compressione di ogni diritto del malato già costretto al ricovero in una struttura qualificabile a stento come ospedale e poi ancora posto in un regime di ricovero ripugnate per qualsiasi essere umano".
E su questo, la Cassazione precisa: "Non risulta che alcuna segnalazione sia partita dal reparto di psichiatria dell'ospedale di Vallo della Lucania. [...] Il personale sanitario dell'ospedale ha accettato di mantenere in funzione questo regime inaccettabile e ripugnante".