«Coloro la cui vita rappresenta l'inferno della Società Opulenta sono tenuti a bada con una brutalità che fa rivivere pratiche in atto nel medioevo». Così scriveva Marcuse ne L'uomo a una dimensione nel 1964. Peccato che, nel caso di Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare di Castelnuovo Cilento, l'inferno «sia stato creato proprio dalla società, che ha distrutto la vita di una persona assolutamente normale» ricordano le sorelle Caterina, Rosalba e Chiara. E raccontano dell'aggressione del 7 luglio 1972, subita da Francesco e due suoi compagni anarchici, Giovanni Marini e Gennaro Scariati, da parte di un gruppo di fascisti, nella quale morì Carlo Falvella, giovane vicepresidente del Fuan salernitano. E poi dell'arresto di Francesco nel '99: resistenza a pubblico ufficiale l'accusa «montata ad arte dalle forze dell'ordine», dicono le sorelle. Scontò un mese in carcere e cinque ai domiciliari prima di essere assolto in appello.
Da allora il suo incubo si chiamava Tso, trattamento sanitario obbligatorio. «In pratica una misura terapeutica per controllarlo per tutta la vita, per aspettarlo al varco al primo errore, al primo segno di cedimento».
E' proprio per essere "curato" che Francesco è stato fermato da decine di agenti in un'operazione degna dell'arresto di un boss della camorra, trasportato all'ospedale di Vallo della Lucania e legato ad un letto dalla sera del 31 luglio alla mattina del 4 agosto, quando venne ritrovato senza vita a causa di un edema polmonare provocato da un'insufficienza ventricolare sinistra.
Ieri pomeriggio, per dare l'ultimo saluto a Francesco, a Castelnuovo sono accorsi a centinaia fra parenti, amici e alunni da tutto il Cilento. Da oggi, per chi ha nel cuore il maestro - e sono in tanti a stimarlo - l'unico pensiero sarà quello di rendergli giustizia.
Qualcuno dovrà spiegare perché un uomo in salute, senza alcun problema fisico, sia morto legato ad un letto di un reparto psichiatrico a seguito di un'ordinanza di Tso emanata dal comune di Pollica Acciaroli. Le indagini del sostituto procuratore Francesco Rotondo, per ora, sono ferme ad accertare la posizione del personale ospedaliero: non solo dei sette medici che lo avevano in cura, fra i quali il dottor Michele Di Genio, direttore del dipartimento di Psichiatria del San Luca di Vallo della Lucania, ma anche degli infermieri del reparto: secondo la testimonianza di uno dei portieri dell'ospedale, infatti, ieri mattina i carabinieri hanno recapitato avvisi di garanzia, in pratica, a tutto il personale operativo fra il 31 luglio scorso e il 4 agosto. Antonio Fasolino, avvocato del dottor Di Genio, ha però spiegato che «i sanitari dell'ospedale di Vallo della Lucania hanno seguito il protocollo previsto per casi come questo».
La chiave per far luce sulla morte del professor Mastrogiovanni, secondo gli inquirenti, risiede nella cartella clinica: fra le carte non ci sarebbe menzione dell'allettamento forzato, pratica estremamente invasiva e che può protrarsi solo per poche ore. Inoltre, risulterebbe un "buco di trattamento" di oltre dieci ore, dalle 21 del 3 agosto alle 7.20 del giorno seguente, nonostante gli fossero stati prescritti farmaci da assumere ogni tre ore.