E' chiuso da anni il Cantunzen, di fronte al portone sbarrato ci legano le biciclette. E' come se sul ristorante più chic di Bologna sia caduta una maledizione dall'11 marzo del 77. Quel giorno negli scontri che seguirono l'omicidio di Francesco Lorusso, qualcuno lo saccheggiò e ne distrusse ogni stoviglia. Pochi metri più in là, ci fu un esproprio ben più drammatico all'armeria Grandi. E drammatico fu lo sforzo di chi volle impedire che quei fucili sparassero contro guardie scatenate e ferocissime. I colleghi di chi, con posa da killer, appostato dietro una vettura, tolse la vita a uno studente di medicina di 25 anni che non avrebbe mai più scherzato con Guccini immaginando che cosa sarebbe accaduto dei Promessi sposi se Renzo Tramaglino fosse stato un militante di Lotta continua e Lucia Mondella fosse di Cl.
Da Piazza Verdi muoveva ieri sera uno strano corteo in bilico tra passato e futuro. Vecchi militanti a intonare vecchie canzoni che parlano di rivoluzione e di lotte continue. E giovani studenti anticapitalisti e precari gli andavano dietro appresso alle bandiere dell'associazione La Lottacontinua - indisponile a lasciare che quella storia la raccontino altri - promotrice della due giorni che «ha ragionato, con buona memoria, di lavoro, cultura, rivolte assieme alle Reti-invisibili e all'Osservatorio repressione del Prc - spiega a Liberazione Mauro Collina - la prossima fermata sarà a Genova». Accanto alla lapide, sul luogo del delitto, una galleria d'arte ha allestito una mostra di foto e giornali d'epoca. I titoloni dei giornali "normali" insinuavano il dubbio che a sparare non fosse stato un carabiniere. Nulla è cambiato nella relazione scabrosa tra stampa e regime. I duemila che sfilano ci tengono a far sapere di non sentirsi «esecutori testamentari, le ragioni di Francesco sono ancora attualissime». Nel corteo c'è Haidi Giuliani e si riconoscono esponenti di Rifondazione (dalla coordinattrice dei Gc, Anna Belliggero, al consigliere regionale Roberto Sconciaforni), dell'area dei centri sociali e dell'estrema sinistra locale, piccole delegazioni da fuori città. «L'intensità epocale di quel movimento cambiava lo spazio tempo di chi vi partecipò - spiega Raffaele K. Salinari, portavoce bolognese della Fds - ma irritò la sinistra tradizionale che qui governava da sempre. Un giorno ci svegliammo e trovammo i carrarmati sotto le Torri. La deriva cominciò allora».
«Ci vogliono delle modificazioni, non dei ritorni», suggeriva Claudio Lolli, poeta prediletto della sua generazione, all'aula grande del Belmeloro strapiena, alla vigilia di questo corteo. Chi non fosse stato tra i 3-400 arrampicati sulle file di sedili per timore di reducismo, rischia di non sapere la densità di un ragionamento collettivo che ha tenuto legata la memoria dei giorni del marzo 77 all'urgenza di un «recupero dell'intelligenza politica», come ha detto Valerio Evangelisti, scrittore e militante. Rischia di non sapere che la ricerca di una modificazione non si è mai fermata, è faticosa, spesso sottotraccia. Ma esiste. I movimenti sono carsici ma sanno tessere dei fili nella memoria. Haidi Giuliani e le "sue" reti sono qui «perché non siano storie quasi solamente loro», dice parafrasando il titolo del libro di Licia Pinelli, moglie di Pino che precipitò dalla finestra della questura di Milano, e madre di Claudia che ha conosciuto da bambina l'impasto di dolore, ingiustizia e mancanza di verità che l'accomuna a tanti familiari di vittime che però non riescono ancora a parlarsi. I familiari di chi fu ucciso a Piazza Fontana lei li ha potuti incontrare solo 40 anni dopo. Ma la carovana di Haidi è caparbia e riprende la denuncia di Liberazione degli spari ad altezza d'uomo del 14 dicembre scorso. Francesco Barilli, scrittore e curatore del sito delle Reti-invisibili, coglie nell'esproprio dell'allegria e della speranza, un altro punto di contatto tra quel marzo, quel luglio e gli anni che si sono succeduti. Racconta di un'umanità «costretta a cercare di salvarsi, a vivere nella paura». «Ci si spostava in branchi, divisi in tribù», ricorda ancora Evangelisti. Ma era «come un mare», quel movimento del '77. Così lo viveva Claudio Lolli, felice di quella «sensazione straordinaria di libertà», del nomadismo culturale e del protagonismo generazionale derivante, ma questo è sfuggito per ora alla riflessione complessiva, dal fatto che i giovani erano la maggioranza della società. Per questo l'«uccisione del padre» prendendo a sassate gli autobus dell'Atc scorazzando per le vie di una città che non li capiva. Poche ore dopo l'omicidio Lorusso, e a pochi metri di distanza, Francesco Guccini vide che in un bar c'era una discussione accesissima. «Ma litigavano sulla squadra di calcio, come se i carrarmati e i lacrimogeni non li riguardassero. Pochi giorni dopo Guccini e Lolli erano sul palco di un concerto per la raccolta di fondi per i compagni arrestati. Mauro Collina era dietro le sbarre. Mai così lontani Pci e movimento. Era quella che Stefano Tassinari definisce la «separazione tra comunisti immobili e comunisti in movimento». A Tassinari, militante e romanziere, si deve la rottura del «pudore letterario» che per vent'anni ha impedito un racconto non revisionista di un movimento «che ha modernizzato l'Italia determinando un avanzamento dei diritti e degli stili di vita senza precedenti, in discontinuità con le generazioni che lo avevano preceduto». Oggi la frattura tra sindacato e movimento è in gran parte ricomposta, e la questione generazionale va riformulata, ma le domande di allora restano urgenti e inevase, a partire dal diritto alla felicità.