«Utilizzare la memoria storica per affrontare il mondo di oggi e ricostruire un pensiero critico» è il modo migliore per evitare il «reducismo», quella nostalgia che diventa negativa quando è intrappolata di uno sguardo che si rivolge solo al passato. Stefano Tassinari è uno scrittore e oggi sarà una delle voci che racconterà il '77 al convegno bolognese. Ma a quell'anno così contestato e oggetto di una enorme rimozione Tassinari ha dedicato un recital dal titolo "Agli angeli ribelli" che in quattro giorni ha portato a teatro a Bologna più di 500 persone. Ed è appena sbarcata in libreria la sua ultima fatica: "D'altri tempi, dieci racconti sugli anni '70" (edizioni Alegre). È un libro con cui lo scrittore si sta preparando ad andare in trenta città in giro per l'Italia per una serie di presentazioni che toccherà anche alcuni licei. E così si torna alla memoria dei fatti che sono accaduti e al suo rapporto con l'attualità del presente.
Come si evita il reducismo?
Utilizzando la memoria storica per affrontare il mondo di oggi e per ricostruire un pensiero critico di cui oggi c'è un enorme bisogno. Io sento di evitare il reducismo quando scrivo un testo che può essere capito da molti e non solo da coloro che avevano quei codici di linguaggio. Il nostro modo di comunicare si basava su un linguaggio molto difensivo perchè per la prima volta una generazione si scontrava con quella che l'aveva preceduta e con ciò che era stato costruito prima. In dieci anni si sono bruciati circa 150 anni. Mi ha colpito che alcuni ragazzi che sono venduti a vedere "Agli angeli ribelli" poi mi abbiano detto che non avevano capito proprio tutto ma avevano provato delle emozioni forti. Allora credo che ciò che ho scritto abbia funzionato.
Che cosa rende il nodo del '77 così attuale?
In quel periodo sono nate riflessioni che sono ancora attualissime. Pensiamo a quelle sul tempo di vita e sul tempo di lavoro o sul precariato. O al portato dei ragionamenti che sono stati offerti dal movimento femminista e che stanno tornando fuori nelle nuove generazioni. A questa generazione è stata sottratta la memoria storica e non lo dico solo perchè quando si chiede agli studenti chi ha fatto la strage di Bologna qualcuno risponde che è stato Renato Curcio. Mi è capitato di declinare alcune interviste nei mesi scorsi perchè giovani intervistatori non sapevano chi era Francesco Lorusso.
Perché è stato favorito questo buco di memoria che ha riguardato il '77 ma gli anni '70 più in generale?
Dobbiamo partire da lontano, dagli anni '80. I poteri forti, passami questo termine, sapevano che se ci fosse stato un ponte tra una generazione e un'altra sarebbe stato pericoloso e quindi è stato fatto di tutto, compresa l'esplosione delle televisioni commerciali. Si è passati, per utilizzare un'espressione che è stata in voga, dagli anni della lotta a quelli di panna montata. Ma voglio aggiungere che anche da parte nostra ci sono stati degli errori perché non abbiamo cercato il contatto con le generazioni successive. Eppure in questo momento io sono più ottimista di alcuni mesi fa quando scrissi il testo di "Agli angeli ribelli".
In piazza si sono viste tante persone negli ultimi mesi...
Sì, oggi c'è un movimento degli studenti che mi ha dato speranza. Ci sono le donne che coinvolgono gli uomini. E non mi sembra casuale che questo anniversario dei fatti bolognesi del '77 stia diventando qualcosa di diverso rispetto agli altri anni. A dieci anni da Genova 2001 e a trentaquattro dalla morte di Lorusso, due momenti spartiacque. Tra di loro c'è un forte nesso e penso che sia stato intelligente metterli in relazione.