Quel marzo del 78 avevo 22 anni. Fausto e Jaio stavano al Leonca, io e altri stavamo al Santa Marta in pieno centro a Milano. Tanti giovani avevano come seconda casa il Centro Sociale in tanti quartieri della città. Per me una serata come tante tra Viel e le colonne di San Lorenzo quando da una macchina alcune persone ci informano che erano stati assassinati dei compagni. Radiopop era l'unica forma di comunicazione in tempo reale di allora. Ritirata al centro, chiusura del portone e riunione immediata per capire il da farsi. Sapevamo che da tempo al Leoncavallo e in altri centri i Circoli del Proletariato giovanile stavano facendo indagini, per la controinformazione, sullo spaccio in città. Proprio San Lorenzo e piazza Vetra erano posti dove oltre allo spaccio di fumo da tempo provavano a presentarsi spacciatori di roba pesante. Quelle indagini, sapremo poi, che erano condotte anche da Fausto e Jaio. Sulla base di questo lavoro fu presentato un dossier preciso e meticoloso su chi dove e come spacciava in città. Il duplice omicidio viene sbrigativamente liquidato dalla stampa (tutta): Fausto e Jaio, essendo frequentatori del Leonca erano "potenziali" terroristi secondo Cossiga e "fiancheggiatori delle BR" per l'allora gruppo dirigente del PCI. Cosi l'assassinio di via Mancinelli è, da prima un regolamento di conti "fra spacciatori", poi fra "bande di estremisti" e via discorrendo. Tant'è che CGIL, CISL e UIL nel giorno dei funerali se ne guardano bene di indire lo sciopero generale di Milano. Meno male che la base sindacale non la pensava come i vertici e cosi, gli allora Consigli di Fabbrica, promuovono iniziative che permettono l'uscita dei lavoratori dai luoghi di lavoro. Più di 200.000 persone parteciperanno a quei funerali; e quella massa di giovani, operai e impiegati, intellettuali e Partigiani attende ancora oggi la verità. Perché nel frattempo un nuovo "buco nero" si aggiunge ai tanti misteri d'Italia ancora insoluti. Ma elementi per compiere indagini serie ed accurate e giungere agli assassini e ai mandanti c'erano e ci sono tutt'ora. QUANTOMENO PROVARCI. La tecnica dell'agguato sparare con la pistola dentro un sacchetto per non disperdere i bossoli: gli assassini sono professionisti che sparano e recuperano i bossoli che ovviamente non si troveranno. Perché dai bossoli si risale alla tipologia dell'arma e dalla tipologia dell'arma si possono valutare i "possibili" killers che per altro non sono di Milano. L'omertà. Nessun pentito di mafia o di altra organizzazione malavitosa ha mai fatto rivelazioni sul duplice omicidio. In Italia ci sono organizzazioni con esponenti che si possono definire irriducibili: i servizi segreti, le brigate rosse e la banda della Magliana e l'ndrangheta. Come tutti sanno queste organizzazioni sono accomunate da gradi più o meno elevati di infiltrazioni intrecciate. In via Fani nel giorno della strage degli Agenti di scorta dell'onorevole Moro c'era un affiliato dell'andrangheta del clan Nirta come risulta dalle carte dei tanti processi. Sono stranoti i reciproci scambi di favore fra servizi e banda della Magliana. Quest'ultima molto attiva nei giorni del rapimento Moro per "aiutare" gli inquirenti a depistare le indagini. Ma Fausto e Jaio che c'entrano? Fausto Tinelli abitava in uno stabile nel quale c'era un appartamento rivelatosi base delle br a Milano. Appartamento sullo stesso pianerottolo di casa Tinelli. Dunque a mamma Danila quei poliziotti che gli chiedono dove Fausto "tenesse le armi" non solo erano malintenzionati ma addirittura facevano opera di copertura dei basisti brigatisti che stavano dirimpetto. Dunque Fausto e Jaio nelle loro indagini hanno potuto verificare e capire cose molto più complesse di un semplice e bastardo circolo vizioso di spaccio. Ultimo elemento ma non secondario: al Casoretto quartiere nord di Milano circolava liberamente un piccolo gruppo che prendeva proprio il nome del quartiere "la banda Casoretto"; questo gruppetto, che si collocava nella galassia "antagonista" e molto radicale nei metodi di lotta, tra i suoi capi aveva persone che poi si sono rivelati confidenti della polizia, altra bizzarra stranezza. Per farla breve tutti questi intrecci portano a Roma e proprio dalla capitale, dalle tifoserie di Lazio e Roma spesso sono usciti piccoli, flebili segnali di un sottobosco neofascista (notoriamente colluso con la banda della magliana) che in più occasioni (solo via radio) hanno lanciato segnali che in questa architettura si poteva andare a scandagliare. Almeno per giungere ad un nulla di fatto. Oggi siamo, dopo l'archiviazione, all'oblio. Ma questa strada (terrorismo/malavita/stato) non è mai stata battuta . Il potere politico-criminale è riuscito a depistare le indagini e a svuotare le inchieste, arrivando all'insabbiamento; ma non è riuscito a colmare il vuoto di giustizia e la sete di verità della parte viva della città di Milano. Con forza e determinazione non dobbiamo rassegnarci; come non ci rassegnammo all'idea che Peppino Impastato era morto perché stava facendo un attentato come scrisse (tutta) la stampa nazionale. Abbiamo impiegato 25 lunghi anni ma alla fine abbiamo avuto ragione Peppino è stato assassinato dalla mafia perché è stato un compagno che la combatteva. La verità non ci restituisce i nostri compagne/i defunti ma da a loro e alla nostra generazione una dignità che tutti vogliono ridurre a pochi facinorosi, drogati e terroristi. Non eravamo così e non siamo mai stati così, come ci hanno dipinto. Oggi con forza continuiamo la nostra lotta per la verità e la giustizia in questo Paese nonostante Berlusconi e Veltroni. Non ci hanno normalizzato e non ci normalizzeranno. Le idee di Fausto e Jaio di Peppino e di tanti altri continuano a vivere.
Marco Fraceti
oggi Segretario del PRC di Monza. Circolo "Peppino Impastato".
nel 1978 militante della Sezione Centro di Democrazia Proletaria; occupante delle case di via San Sisto e del Comitato di gestione del Centro Sociale Santa Marta.