«Immagina noi che arriviamo al recinto esterno del caracol di Oventic, ci riconoscono, ci controllano i documenti e ci fanno aspettare. Poi, dal fondo della strada, comincia a venire tutta la gente coi loro vestiti della festa, una piccola banda musicale, le autorità della "giunta del buongoverno": tutti si sono disposti in diverse file ai lati della strada. Solo allora possiamo passare. Duro non commuoversi».
E' il racconto emozionato di Haidi Giuliani da S. Cristobal a poche ore dalla cerimonia di consegna delle due ambulanze "zapatiste" dedicate a Dax e Carlo e donate da "Ya Basta! " alla clinica di questo caracol. Con la mamma di Carlo ci sono attivisti di Ya Basta di Milano, Padova e del Piemonte, Raffaele Vampa, vicesindaco di Pieve Emanuele, gemellato con Polhò, i genitori di Edo e Rosa Piro, madre di Dax, Davide Cesari, il giovane operaio assassinato nel 2003 in un agguato fascista nel quartiere Ticinese di Milano. Anche Rosa è ancora commossa dall'accoglienza riservata agli italiani nell'auditorium - un capannone di pali di legno e tetto di lamiera col pavimento di terra battuta e un buon impianto di amplificazione, dove centinaia di persone venute anche da molto lontano, sono restate a lungo in piedi e in silenzio. C'erano le autorità zapatiste, le basi d'appoggio e i rappresentanti dei municipi. «Una compostezza e una dignità inimmaginabili a ripensare alle nostre assemblee - continua Haidi - anche i bambini piccolissimi avevano il passamontagna, è molto forte il senso dell'identità zapatista».
Il serio cerimoniale ha previsto anche la visita alla clinica regionale dove Rosa e Haidi hanno potuto constatare i risultati dello sforzo indigeno e dei numerosi progetti di solidarietà internazionalista. Una dopo l'altra hanno visto la stanza dove molano le lenti per gli occhiali, quella del ginecologo, l'altra dove una ragazza italiana, che ha scelto di vivere in Chiapas, aspetta di partorire. La chirurgia è in via di rifacimento ma funziona la farmacia dove sono disponibili i preparati industriali ma anche pillole e pomate preparate con le erbe secondo le tradizioni indie.
Parassitosi intestinali e della pelle, infezioni polmonari «dovute al fatto - spiega Haidi - che si cucina nelle capanne e il fumo resta lì dentro - denutrizione e artrite «a forza di portare carichi sulla schiena sostenuti da una fascia fissata sulla fronte»: sono questi i problemi più frequenti che devono affrontare i medici e gli operatori del servizio sanitario autogestito dalle comunità zapatiste. Ora, grazie alle due ambulanze la clinica centrale sarà più vicina alle otto micro-cliniche del caracol e ai villaggi collegati da strade sterrate
Se ad Haidi gli chiapanechi, che hanno sacrificato un toro per accogliere le madres italiane, hanno ricordato gli indios Quiche guatemaltechi che vide ad Antigua nella sua "vita precedente", a Rosa - che viene da un paese del crotonese - è sembrato di fare un salto nel tempo di una quarantina d'anni: «Anche nel sud eravamo senza niente», racconta a Liberazione. Poi ringrazia Ya Basta, l'associazione di sostegno all'esperienza zapatista, per l'opportunità di un'esperienza del genere sebbene sia legata alle morti assurde di Carlo e Dax che attese troppo a lungo l'ambulanza "frenata" dalla polizia. «Questa gente lotta come lottava Dax, per la casa e per i diritti. Spero di riuscire a continuare a collaborare in altri progetti di Ya Basta: ora sarà difficile rimanere quello che si era, abbiamo tanto da imparare da questa gente».
«Nel "comedor", la mensa, di Oventic sembra di essere nel bar di "Guerre stellari" perchè c'è gente di ogni posto», dice Luca Mondo, trentasettenne milanese cooperante di Ya Basta. E' uno dei segnali della capacità di attrazione dell'esperienza zapatista, come lo sono i tantissimi progetti di cooperazione in corso. «Abbiamo appena visto la grandissima scuola costruita dai greci nella Selva - interviene Wilma Mazza di Radio Sherwood - e a La Realidad abbiamo assistito all'avvio di un sistema autonomo di trasporto pubblico finanziato dai baschi. Per noi è anche un momento per la relazione tra chi, nei rispettivi paesi, come noi, fa politica e prepara progetti di solidarietà».
Quello di Oventic, nella zona degli Altos, è uno dei cinque "caracoles", autogoverni regionali zapatisti nel Chiapas, ai quali fanno riferimento una quarantina di municipi. Il viaggio delle ambulanze è stato lunghissimo. Erano partite il 20 luglio del 2004 da Piazza Alimonda, nel terzo anniversario dell'omicidio di Carlo, scaturito dalle cariche immotivate dei carabinieri a un corteo regolarmente autorizzato. La raccolta di fondi, però, era partita un anno prima, soprattutto a Milano e dintorni, grazie agli sforzi di Ya basta, dei collettivi studenteschi, di gruppi rock come la Banda Bassotti e Luca Zulu che hanno suonato gratis. «Due coppie di sposi hanno dirottato sul progetto la propria "lista di nozze" - continua Mondo nella lunga telefonata a più voci da un albergo di S. Cristobal - e sono serviti anche i proventi del caffé rebelde zapatista». Da quella sera a Piazza Alimonda, però, a separare le vetture da Oventic, un altro anno di iter burocratico in Italia e in Messico.
Ora il viaggio della carovana di Ya Basta è entrato nella sua ultima settimana. I primi italiani, da Milano, Padova, Bologna e Torino sono arrivati una mesata fa per un giro tra i progetti educativi nei caracoles, per quello di potabilizzazione dell'acqua della Selva e per il torneo di Futbòl rebelde della Realidad dove una squadra di ultras italiani se l'è vista con tre team locali. Gli italiani hanno potuto assistere, come osservatori internazionali, agli incontri dell'"Altra campagna", la rete sociale lanciata dalla sesta dichiarazione della Selva Lacandona, nell'anno delle presidenziali messicane, nella prospettiva di fornire un orizzonte strutturato ai movimenti. «Ogni incontro è durato un paio di giorni - spiega Wilma Mazza di Radio Sherwood di Padova - dopo le introduzioni della comandancia e di Marcos c'erano cento-duecento interventi senza limiti di tempo, alla fine dei quali veniva un riassunto del Sup. Uno spaccato interessante di un evento in cui succede di tutto».
Più di diecimila chilometri per strade sterrate a bordo di furgoni presi a nolo. Prima di tornare i cooperanti incontreranno le cooperative di produttori di caffé e le donne dei progetti legati all'artigianato e, ancora, le scuole autonome che da cinque anni formano maestri per le primarie. «Da due anni - dice ancora Mondo - i nuovi maestri lavorano nelle rispettive comunità, in villaggi dove prima non esisteva nulla. Prima o poi, gli zapatisti riusciranno a mettere in piedi anche l'università».
A Polhò, villaggio gemellato con la cittadina del milanese, Pieve Emanuele, all'avanguardia nei programmi di democrazia partecipata, troveranno un villaggio cresciuto di otto volte in sette anni. Nel '98, dopo la strage di Acteal, i mille abitanti sono diventati ottomila, tutti "desplazados", profughi. Fuggiti dalla furia dei paramilitari che agiscono coperti dalle autorità messicane. «E tutti senza terra, ossia senza cibo - aggiunge Mondo - è una ferita aperta, la vergogna del governo messicano che ha permesso le minacce e le violenze. Però si sono organizzati, ora hanno tutti una dimora decente ed è un laboratorio di cooperazione anche se la situazione resta drammatica dopo l'abbandono da parte della Croce rossa (ufficialmente per mancanza di fondi) dell'unico presidio sanitario».