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Omicidio Giuliani, le immagini saranno prove?
Massimo Lauria
11 luglio 2013

Carlo Giuliani è stato spesso descritto dai media come "il ragazzo con l'estintore", quello che tutto sommato se l'è cercata. Ma la sua storia è un po' più complessa e nessun tribunale ha mai voluto affrontare il caso fino in fondo, anche perché allora le immagini non erano state ammesse come elemento di prova. È una storia fatta di depistaggi e menzogne, cominciate immediatamente dopo che un colpo di pistola l'ha raggiunto sotto lo zigomo sinistro uccidendolo. Anzi, secondo le ricostruzioni di allora, Carlo non era ancora morto quando il carabiniere di leva Mario Placanica gli ha sparato. Ma a sparare è stato davvero Placanica? Il pm e il gip i allora ne sono convinti, tanto da archiviare il caso come legittima difesa. Meno convinti che si sia trattato di legittima difesa, invece, sono gli avvocati della famiglia Giuliani, che hanno iniziato un procedimento civile per capire davvero che cosa è successo il pomeriggio del 20 luglio 2001.

Nell'udienza del 9 luglio scorso il giudice ha dichiarato di voler esaminare i documenti presentati dai legali, ponendo la riserva di valutare se ammetterli e se richiamare a testimoniare anche Mario Placanica. «Nella richiesta di archiviazione del processo penale, la testimonianza del carabiniere Placanica fu determinante per chiudere il caso come legittima difesa», dice Giuliano Giuliani, il padre del manifestante ucciso durante il G8 di Genova. Ecco perché diventa importante che anche in sede civile l'ex carabiniere venga ascoltato di nuovo dal giudice. Ma soprattutto è di fondamentale importanza che le immagini video e le fotografie vengano considerate come elementi di prova, per poter capire quello che è davvero successo allora. La famiglia Giuliani attende da 12 anni di conoscere la verità e il processo civile è l'unico modo, ormai, per poter riconsegnare alla giustizia quella verità.

Perché non si è mai celebrato un processo e soprattutto perché allora né il pm, né il gip vollero ammettere le immagini come prove, in sede penale. «Non ci interessa un risarcimento pecuniario», ci dice al telefono Giuliani. «Quello che conta è ristabilire i fatti su un piano di verità. Risentire i testimoni di allora e valutare sulla base dei numerosi filmati e delle tante fotografie, ci sembra l'unica strada possibile per riconsegnare alla storia anche una verità giudiziaria - prosegue Giuliani -. Fino a richiamare in causa anche le responsabilità politiche che hanno permesso quello che è accaduto a Genova». Già Claudio Pagani - presidente di Aed, gli avvocati europei democratici e legale della famiglia Giuliani - aveva commentato così a Popoff: «Chiederemo che venga accettato il principio che l'ordine pubblico condotto con metodi della guerra sia considerato un "esercizio di attività pericolosa" per via dei metodi tipici delle operazioni belliche».

Ecco anche perché Pagani ha citato tra i testi anche i protagonisti di allora, tra cui il capitano Claudio Cappello e il colonnello Giovanni Truglio, responsabile del reggimento di Carabinieri coinvolto nell'omicidio di Carlo. I comandanti e quasi tutti gli uomini di Truglio sono veterani di guerra, abituati a situazioni pericolose e delicate nei conflitti armati. Perché allora, si domanda Giuliani, non sono riusciti a gestire una situazione non particolarmente difficile? «Per anni ho visto e rivisto le immagini di piazza Alimonda - spiega Giuliani - e da quelle immagini si può capire benissimo che la pistola che ha ucciso Carlo è puntata su di lui. Come fa allora Placanica a dire di aver sparato in aria? Le perizie parlano chiaro: il colpo è partito diretto, colpendo Carlo. Non si può parlare di legittima difesa». E poi Placanica, tra le molte versioni fornite, dice anche di essere stato ferito e che stava coprendo il collega che stava in basso, ovvero quello con la pistola in mano e che ha sparato.

«In una curiosa intercettazione della Polizia, si dice anche che bisogna ritrovare il casco di Placanica - racconta ancora Giuliani - così da dimostrare che sia sporco di sangue. Cioè, - si domanda il padre di Carlo - prima viene ferito e poi mette il casco sulla ferita? Non ho mai sentito una cosa del genere». Ma al processo comparirà forse anche Adriano Lauro, l'allora vice Questore che coordinava le operazioni nella zona. Lauro è il poliziotto che provò ad allestire la teoria che a uccidere Carlo fosse stato un sasso lanciato dai manifestanti. Quella recita non resse a lungo e due fotografie, scattate da un balcone, lo dimostrano: nella prima c'è un sasso a un metro e mezzo a sinistra della testa insanguinata di Carlo; mentre la seconda mostra lo stesso sasso accanto alla sua testa e un carabiniere accucciato di fianco. Quando il passamontagna del ragazzo venne esaminato, non si trovò alcun segno di quella pietra, ma il cranio era stato sfondato, successivamente al colpo di pistola.