CERCA quello che la giustizia penale non ha potuto dare: «La vera dinamica della morte di mio figlio» dice Giuliano Giuliani. Il padre di Carlo, il manifestante no-global ucciso alle 17,27 del 20 luglio del 2001 durante i giorni del G8, ci riprova con un processo civile. Ha presentato un'istanza al Tribunale Civile di Genova. La prima udienza si terrà il 9 luglio. Anche se la stessa madre, Haidi Giuliani, tempo fa ha precisato di non aver chiesto alcuna cifra: «Non ci sono soldi, non c'è prezzo che possa pagare la vita di un figlio, ma la nostra volontà è di ottenere un processo, non solo su chi effettivamente ha sparato, ma anche sulle responsabilità politiche e sulla catena di comando in quei giorni».
La citazione, depositata nelle scorse settimane dall'avvocato Gilberto Pagani, è diretta a Mario Placanica, il carabiniere che si trovava all'interno di una camionetta presa d'assalto dai manifestanti e che esplose il colpo di pistola contro il giovane. «Tentiamo la causa civile perché questo è l'unico strumento rimasto per accertare la verità e ribaltare la logica orrenda che ha portato all'archiviazione ». Alla famiglia, finora, la giustizia ha dato torto. Nella denuncia è chiamato in causa anche il vice questore Adriano Lauro del Reparto Mobile di Roma, che durante gli scontri guidava il plotone misto di polizia e carabinieri in piazza Alimonda. Sarebbe stato lui, immediatamente dopo l'uccisione, a gridare ad un manifestante: «Sei stato tu ad ucciderlo con una pietra». Tant'è che Heidi Giuliani, la mamma, nel 2006 disse: «Se Lauro fosse stato convinto di quella cosa, si sarebbe dovuto preoccupare di arrestare l'eventuale assassino. Non lo ha fatto». E nelle sue vesti di senatrice di Rifondazione Comunista chiese una commissione parlamentare d'inchiesta. Giuliano Giuliani non si rassegna alla chiusura dell'inchiesta penale: «Mio figlio morì ucciso, ufficialmente, da un colpo di pistola sparato in aria da un carabiniere ausiliario - racconta il padre - . Ufficialmente, il proiettile intercettò un sasso lanciato dai manifestanti verso le forze dell'ordine e, destino volle, che quella pietra modificasse la traiettoria del proiettile in modo da farlo arrivare proprio in faccia a Carlo. Tutto ciò non si vede nemmeno nei cartoni animati».
Il papà ha messo insieme video, fotografie, registrazioni telefoniche, cercando di ricostruire la vicenda, soprattutto gli ultimi minuti di tafferugli tra via Tommaso Invrea, via Montesuello e via Caffa; poi i momenti successivi. Per la famiglia e per il difensore ci sarebbero dei punti ancora oscuri, ad iniziare dagli istanti dopo il decesso: il giovane non sarebbe morto sul colpo, dopo lo sparo: «C'è una foto, in particolare, che mostra accanto al viso insanguinato di Carlo un sasso anch'esso insanguinato. E appuntito. Quando a Carlo toglieranno il passamontagna, scopriranno che in mezzo alla fronte aveva una ferita mortale. E scopriranno che sul passamontagna, all'altezza della fronte, non c'è traccia di lacerazione». «I magistrati non hanno nemmeno valutato immagini fondamentali - aggiunge - come quella in cui un carabiniere con una pietra spacca la testa di Carlo, già ferito».