Dice Giuliano, appena si accendono le luci in sala, che questo film è «un passo avanti», «un passo importante nella ricerca della verità». La verità su Piazza Alimonda e su Genova 2001. Su quel G8 dirimente «vertice di trapasso», «battaglia finale». Battaglia che perdemmo, spiegherà più avanti Franco Fracassi, autore assieme a Massimo Lauria di un film inchiesta che ha coinvolto alcuni giovani giornalisti per tre anni a sbobinare voci e visionare filmati e un centinaio di testimoni di Genova che hanno risposto alle loro domande.
Nulla fu come prima, nulla è come allora. Ma quei giorni di luglio parlano ancora di noi. Ecco perché la sala deluxe della Casa del Cinema di Roma era piena per il debutto in società, la presentazione alla stampa, di The summit: i 3 giorni della vergogna. Dopo il passaggio in Panorama alla Berlinale e in altri festival, arriva finalmente nelle sale italiane il 21 febbraio distribuito da Minerva e poco dopo anche in dvd e su itunes.
Per il papà di Carlo è l'ennesima occasione per ragionare a voce alta, lo fa da dodici anni, sull'assoluzione che lo Stato s'è concessa dopo aver somministrato la morte a un ragazzo di 23 anni che aveva raccolto un estintore dopo aver visto puntata su di sé e suoi compagni la Beretta di un carabiniere. Il film fornisce «molti elementi in più per valutare». Una pistola difettosa, i carabinieri sosia, un bossolo mai analizzato. Di questo Popoff ne ha già parlato annunciando l'evento che sarebbe stato trasmesso in diretta streaming sull'intera syndacation di Globalist. Giuliano ha rimesso in fila i fatti, ricostruisce per la sala le catene di comando. Ricorrono nomi ancora in auge, protagonisti di altre pagine infami della storia recente: dalle violenze nei teatri della guerra globale in cui sono coinvolti alcuni ufficiali dei carabinieri presenti in Alimonda, fino al traffico internazionale di droga di cui, secondo un tribunale milanese, è artefice il generalissimo di un corpo speciale di carabinieri, il più alto in grado a Genova quei giorni. E, ancora, le mirabili di carriere che hanno condotto altri "eroi" di quel luglio a guidare l'occupazione militare della Val Susa oppure a organizzare la versione ufficiale e farlocca dell'omicidio Sandri.
Accanto a lui c'è uno sbirro ma usa le stesse parole di Amnesty per rievocare il senso di quello che avvenne in zona rossa e in zona gialla: «La più profonda ferita della democrazia». Si tratta di Claudio Giardullo, sindacalista del Silp per la Cgil, di cui ha mollato le redini per candidarsi con Rivoluzione civile di Ingroia accanto a gente come Ilaria Cucchi, figura simbolo delle battaglie civiche contro la malapolizia. E' uno sbirro strano visto che si domanda da allora «come fare perché non accada più», visto che rigetta le modalità militari pesanti e inefficaci di gestire l'ordine pubblico. Ancora più strano questo sbirro quando chiede un supplemento di politica per capire Genova: Anche a lui è parso un film «rigoroso ed efficace». Un lavoro capace di riformulare domande che solo un processo oppure un'inchiesta parlamentare potrebbero sbrogliare. «Possibile che tutti, carabinieri, polizia, guardia di finanza, forestale, siano diventati matti lo stesso giorno? - si chiede ancora Gigi Malabarba, all'epoca senatore del Prc poi accusatore di De Gennaro e promotore dei disegni di legge sul codice alfanumerico per chi operi travisato in ordine pubblico e sulla commissione di inchiesta - Perché non fu mai istituita? Perché lo stesso sarebbe accaduto per la rendition di Abu Omar? C'è qualcosa che non dobbiamo sapere». Malabarba smonta la tesi dell'impreparazione, trova le tracce della stessa strategia nei fatti di Napoli e di Goteborg nei mesi precedenti: «Si voleva colpire la massa dei manifestanti e stimolare i gruppi più radicali per innescare una spirale repressione-violenza-repressione».
Film già visto. Non come The summit al quale ha collaborato attivamente Mark Covell, il giornalista quasi ucciso quella notte della Diaz. Il pm Zucca ha provato a costruire un processo per tentato omicidio ma il tribunale ha voluto metterci - pochi giorni fa - una pietra sopra. Mark, per anni, s'è dedicato alla ricerca delle prove. Ha realizzato un «supervideo» con 41 filmati montati su sei schermi di cui Fracassi e Lauria hanno adoperato le immagini e, prima di loro, lo ha fatto la corte di Genova che vi ha riconosciuto 27 teppisti in divisa responsabili delle violenze su gente inerme e del teorema che li voleva bollare come terroristi.
Covell, dodici anni dopo, può provare a sorridere, finalmente è riuscito ad aggiustarsi i denti spaccati quella notte. Ma non è per sorridere che interviene alla conferenza stampa: snocciola i nomi di quelli che ritiene colpevoli di averlo spedito in coma per quattordici giorni e si augura che il prossimo parlamento, finalmente, approvi la legge sulla tortura. Che poi è quello che chiedono almeno due appelli, quello delle madri di Carlo e di Federico Adrovandi (assieme ad alcuni comitati) e il decalogo che Amnesty international ha sottoposto a chi si candida a guidare il Paese perché siano demoliti i muri di gomma dell'impunità e dell'opacità che avvolgono gli apparati di sicurezza. «Si può voltare pagina - dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty - solo quando ci saranno verità e giustizia. Finora ci sono state solo impunità, pene lievi, prescrizioni». Amnesty "adotterà" questo film.
Una professoressa di liceo, venuta con alcuni dei suoi studenti, esce dalla sala dicendo di aver trovato «tutte le risposte alle domande rimaste insolute da "Diaz"».
«La cosa che mi ha dato più fastidio in quest'ultimo anno è che grazie al film "Diaz" Michelangelo Fournier è stato considerato il poliziotto eroe del massacro alla scuola Diaz. Fournier è stato il poliziotto che ha avviato il pestaggio che mi ha mandato in coma», dirà Marc Covell e sarà polemica tra il giornalista inglese e il regista di "Diaz" Daniele Vicari. «Sono venuto a conoscenza del progetto di Massimo e Franco nel 2008, avevo appena terminato di montare i 41 video esistenti su quella notte che avevo raccolto. Mentre Domenico Procacci e Daniele Vicari (produttore e regista di "Diaz - Don't clean up this blood") non mi hanno mai chiesto i file e per questo non potevano sapere che Michelangelo Fournier (Claudio Santamaria in "Diaz") invece di essere nella scuola in realtà era fuori. Ho sottoscritto un accordo verbale con la Fandango per non parlare di questo. Ma l'80% del film di Vicari è corretto, quello che racconta è più importante della mia vicenda personale».
Interpellato dall'Ansa, Vicari ha così ribattuto: «Non c'è mai stato un accordo del genere. Mi dispiace smentire Mark, ma è fantascienza. E invito a distinguere fra la battaglia di chi fa militanza e il lavoro di un regista». Procacci non ha rilasciato commenti.