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G8, "Processo ai 25": «trovare chi ordinò le violenze»

Per 5 dei 10 no-global condannati dalla Cassazione lo scorso 13 luglio a pene pesanti per vari episodi di devastazione e saccheggio avvenuti durante il G8 del 2001 a Genova, dev'essere ancora accertato «se, quali e quanti, tra loro, preordinarono la manifestazione agli atti di violenza»: lo sottolinea la Suprema Corte (nella sentenza 42.130, depositata oggi e relativa all'udienza di quest'estate) indicando ai giudici della corte di Appello di Genova il punto da approfondire nel processo di appello bis.

Per questa ragione è stato accolto il ricorso di Carlo Arculeo, Antonino Valguarnera, Luca Finotti, Dario Ursino e Carlo Cuccomarino, che avevano protestato per la mancata concessione della circostanza attenuante di aver agito seguendo «la suggestione della folla in tumulto». Accogliendo l'obiezione, la Cassazione afferma che il verdetto di merito è pervaso da «difetto di motivazione» perché «non si è fatto carico di valutare se, quali e quanti tra gli imputati, al di là della partecipazione ai fatti di devastazione e saccheggio, preordinarono la manifestazione agli atti di violenza, non potendosi desumere dalla loro partecipazione ai delitti il ruolo di protagonisti delle condotte violente. La circostanza attenuante non spetta a colui che abbia provocato i disordini, che si sia predisposto per determinarli e che abbia programmato la sua partecipazione alla manifestazione di protesta in funzione appunto della commissione di atti di violenza».

Tuttavia, prosegue la sentenza, «la prova di questa attività di vera e propria "promozione" non può trarsi soltanto dal fatto che i cinque imputati confluirono a Genova con l'intenzione di concorrere alle manifestazioni di protesta, perché essa non rivela, ancora e di per sé, che costoro presero parte a un gruppo costituitosi al fine precipuo di spingere ad atteggiamenti violenti. Affinché possa negarsi l'applicabilità della circostanza in esame occorre escludere che gli autori dei fatti di violenza collettiva si determinarono a quelle illecite condotte soltanto perché, trovatisi in mezzo a una diffusa situazione di disordine, ebbero una minore resistenza psichica alle spinte criminali e si lasciarono andare ad atti di violenza nella misura in cui furono contaminati dalla "fermentazione psicologica per contagio che si sprigiona dalla folla"».