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L'inutile "vittoria" di Genova 2001
Francesco "baro" Barilli
18 luglio 2012

Di Genova 2001 ho parlato e scritto molto. Ne ho parlato come di un trauma o di uno spartiacque nella vita di tanti: chi è stato segnato - sulla propria pelle, nella propria esistenza - da quei fatti; chi, come me, da undici anni non è mai mancato una sola volta, a luglio, in Piazza Alimonda. Perché andare a Genova in luglio è...
Non so neppure io cosa sia... Sicuramente non un vuoto rito. Neppure "un dovere" (poca simpatia per ogni "dovere", capitemi...). In mancanza di parole adatte lasciamo la frase così, incompiuta. Tanto le parole non aggiungono nulla: per tanti, l'ho detto, Genova è un trauma, uno spartiacque: loro sanno cosa significa "esserci" tutti gli anni a luglio, anche senza sintetizzarlo con un termine.

Il luglio 2012 finora è stato, metaforicamente, "caldo" e importante quanto quello del 2001. Sono arrivati a sentenza definitiva tre processi: Dopo De Gennaro e Diaz, la condanna a dieci manifestanti.

Sulla condanna ai dieci manifestanti è già stato scritto tutto.
- Sulla tipologia di reato ("devastazione e saccheggio"): che puzza di fascismo ed è spropositata.
- Sull'asimmetria delle pene inflitte ai manifestanti rispetto a quelle comminate alle forze dell'ordine in altri procedimenti (non solo genovesi): una sproporzione che rende "l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge" pura e vuota retorica.
- In particolare, sulle pene ai manifestanti: degne del codice fascista a cui il reato di "devastazione e saccheggio" è dovuto (codice a sua volta degno, del resto, del paese autoritario in cui viviamo).

Al netto di tutti i commenti possibili (e, sia chiaro, tutti quelli che ho sinteticamente ricordato sono sacrosanti), stiamo parlando della vita sconvolta a dieci persone (5 subito e 5 vedremo dopo il nuovo appello, che dovrà pronunciarsi solo sulle attenuanti, al massimo "limando" la pena) e ai loro cari. Non parliamo di astrazioni, ma di altre ferite, di esistenze violate: leggete quanto scrive Amal: nulla da aggiungere.

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Dunque, lentamente, Genova 2001 si sta avvicinando alla fine (nella sua dimensione processuale, intendo...).
Ho già detto altre volte che non penso che la risposta sul luglio genovese dovesse venire dai tribunali. E non credo che la risposta della magistratura vada letta solo col pallottoliere che tiene il conto di condanne e assoluzioni: i tribunali hanno detto anche altro...

Su Bolzaneto (dove la Cassazione non è ancora arrivata) nel marzo 2010 la sentenza di appello, seppure nella permanente impossibilità di parlare di tortura e in presenza di molti reati per cui è scattata la prescrizione, ha aumentato pene e risarcimenti, riconoscendo aggravanti specifiche come l'aver agito per motivi "futili e abietti". Inutile aggiungere che è l'ignavia del mondo politico (trasversale e tutt'altro che recente) ad aver fatto sì che l'Italia sia ancora priva, a livello giuridico, di una specifica definizione del reato di tortura.

Sulla Scuola Diaz la sentenza definitiva (accantonando il discorso della bassa entità delle pene) è stata clamorosa: credo sia una novità assoluta, non solo per l'Italia, una condanna dei vertici della Polizia di uno Stato occidentale avvenuta in un "normale" processo penale. Inoltre è il caso di ricordare che i 93 presenti la notte del 21 luglio 2001 nella scuola erano stati a suo tempo prosciolti dal GIP dalle accuse a loro carico: associazione a delinquere finalizzata a devastazione e saccheggio e resistenza aggravata. Oggi appare scontato e ridondante ricordarlo (qui andiamo alla "preistoria" dei processi su Genova: la sentenza del GIP se non sbaglio è del 2003), ma pure quel provvedimento ha contribuito a "fare la storia processuale" di Genova: senza quello probabilmente non ci sarebbe stato neppure il processo ai funzionari per la "macelleria messicana".

Sui manifestanti feriti dalle forze dell'ordine nel corso delle varie iniziative del luglio 2001, si è arrivati ad alcune sentenze in sede civile in cui la magistratura, non potendo individuare responsabilità personali ma riconoscendo comunque nella condotta delle forze di polizia la causa oggettiva di quanto accaduto, impone al Ministero dell'Interno il pagamento alle persone ferite di somme a titolo di risarcimento.

Persino nel "processo ai 25" si possono trovare elementi positivi: per 15 dei 25 imputati l'impianto accusatorio della "devastazione e saccheggio" era crollato nei primi gradi di giudizio; e il tribunale ha riconosciuto a quegli imputati di aver reagito ad atti arbitrari di pubblici ufficiali, riconoscendo "illegittimo, ingiustificato e sproporzionato alla situazione" l'attacco al corteo di via Tolemaide del 20 luglio, da cui nacquero gli eventi che portarono all'uccisione di Carlo Giuliani (certo: è scandaloso che da questo riconoscimento non sia nato né un processo per l'omicidio di Piazza Alimonda, né siano scaturite conseguenze positive per gli altri dieci imputati: perché la procura non ha proceduto contro i responsabili di quelle cariche, invece di incaponirsi contro i manifestanti?).

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Insomma: le sentenze, ferme restando le zone d'ombra (a cominciare dallo sconcerto per la scandalosa archiviazione per l'omicidio di Carlo) nel loro complesso dicono che "avevamo ragione noi". Lo dicono brutalizzando il concetto, certo, ma anche ricordando che la risposta che DAVVERO NON E' ARRIVATA è stata quella della politica: quella della magistratura, letta in filigrana, è - almeno "tecnicamente" - una vittoria.

Ma è una vittoria incompleta. E soprattutto amara. Vediamo perchè...

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Lo sapete, sono anarchico (intendendo l'anarchia, citando De Andrè, come una categoria dello spirito, che prescinde da rigide appartenenze o da logiche organizzative). Per me anarchia significa rifiuto del principio di autorità di un essere umano su un altro. Anarchico non è chi non accetta ordini (quella è caratteristica più o meno di tutti...) ma chi non concepirebbe darli...
Ritengo, quindi, che ogni forma di potere o di autorità sia una forma di controllo, subdolo o violento, sull'individuo (questo proprio in breve, eh...).

Preciso: non mi sfugge che anche dentro gli apparati dello Stato (e quindi dentro ai meccanismi del potere) esistono persone di spessore, di rigore morale, che credono davvero nello stato di diritto, convinti che quelle strutture a cui loro appartengono siano a servizio dei cittadini. Proprio la storia processuale di Genova, per fare solo un esempio, mi fa pensare al pm Enrico Zucca, senza il quale non si sarebbe ottenuta la sentenza Diaz. Non dimentico che proprio Zucca ha agito con scrupolo e professionalità, trovandosi ad affrontare ostacoli che, lungo il suo percorso, sono stati posti da altri apparati; ostacoli che in certi momenti si sono concretizzati non solo nel boicottaggio delle indagini, ma in attacchi anche personali nei confronti del pm. Guardo con stima e rispetto a un uomo come il dott. Zucca e so che non è un caso isolato, per fortuna.

Nonostante questo il mio giudizio sul potere e i suoi apparati è questo: un'oligarchia autonominatasi, che con giochi di prestigio costruisce attorno a sé un'aura di consenso e si puntella con strutture il cui unico compito è l'autoconservazione (autoconservazione del potere stesso, innanzitutto). Indipendentemente, cioè, dalla volontà dei cittadini, plagiata da quei "giochi di prestigio" o, alla peggio e quando serve, soggiogata; con le buone o con le cattive. Persino la forma della delega in politica è un orpello, una buccia che copre a malapena quei giochetti: grattata con l'unghia sparisce e resta quel nocciolo che si alimenta e perpetua.

I movimenti sociali agiscono in questo alveo. In dati momenti possono persino spaventare il potere: è quel che è successo a Genova; e la durezza della repressione è stata proporzionale alla paura che, almeno in prospettiva, il movimento destava nelle "stanze dei bottoni".
Ora che quel movimento si è dissolto, anche la reazione civile di fronte a certe enormità, quali ad esempio la condanna ai dieci manifestanti di Genova, è solo una voce flebile. I riferimenti politici di quella stagione si sono dissolti; quel che ne rimane sembra il ribollire di frutta un po' andata che vuole nobilitarsi in marmellata...

Per il potere la strategia più efficace non è tanto quella di vendere una proposta di mondo come fosse la migliore, ma evidenziare che non esistono alternative. Non è una cosa nuova, "there is no alternative", diceva Tatcher, era un suo motto. Nella partita della contrapposizione di forze, "loro" avranno sempre la meglio, perché "loro" sono "La Forza". Al massimo ci potremo ritagliare delle vittorie di Pirro. L'ora d'aria dei detenuti, la boccata d'ossigeno di un momento, in parte conquistata e in parte elargita come estrema concessione.

Tra queste vittorie di Pirro annovero "la vittoria" di Genova. Amara perché non servirà a nulla. E perché proprio la "condanna dei dieci" alla fine mi toglie le parole e non mi fa vedere, all'orizzonte, risposte alla domanda ("che fare?") che spontanea potrebbe sorgere dopo aver letto questo mio lungo intervento...

Francesco "baro" Barilli