Oggi, quando si parla di G8, molti pensano che ci si riferisca alle porcherie della Maddalena o alle operazioni mediatiche del trasferimento all'Aquila. Già, dal G8 genovese del 2001 sono trascorsi quasi nove anni e si sa, a volte il tempo, contrariamente a quello che si dice, non è galantuomo. Forse perché, o proprio perché, spesso è la grande informazione a non comportarsi da galantuomo e non usa la memoria come strumento indispensabile per contribuire alla verità.
E ciò è davvero male, perché le autentiche responsabilità di quello che è accaduto a Genova sono ancora tutte da definire e da accertare, a meno che non ci si voglia ridurre all'assurdo di considerare come unici responsabili Carlo e una decina di manifestanti: Carlo, al quale è stato negato persino un processo, vuoi mai che si arrivasse a chiarire chi spara davvero e perché lo fa, rispedendo fra l'altro al mittente quella ignobile invenzione dello sparo per aria e del calcinaccio che devia il proiettile; e una decina di manifestanti per i quali, in appello, sono state addirittura aumentate le pene, quasi a compensare gli anni che sono stati tolti a un'altra decina di condannati in primo grado perché nel frattempo era intervenuta la prescrizione.
L'occasione per continuare a parlare del G8 genovese oggi è offerta dalle condanne che la procura generale ha richiesto nel processo di appello per la macelleria messicana alla scuola Diaz: oltre un secolo per ventisette imputati, compresi i più alti vertici della polizia, oggi ancora più alti di nove anni fa perché sono stati tutti, nessuno escluso, promossi. Sì, proprio quelli che in primo grado erano stati assolti perché "il fatto non sussiste". Stiamo parlando di Gratteri, Luperi, Caldarozzi, Ciccimarra (quest'ultimo condannato recentemente per le violenze connesse ai fatti di Napoli del marzo 2001), Murgolo (che ha recentemente guidato le violenze contro i NO TAV in Val Susa), cioè del gruppo di alti funzionari che staziona davanti alla Diaz mentre si svolge la macelleria. Non solo: sono ripresi da un filmato mentre si gingillano con un sacchetto di plastica azzurro contenente le due bottiglie molotov che due poliziotti (Troiani e Burgio) introdurranno all'interno della scuola come prova che lì erano ospitati dei terroristi (è opportuno ricordare che la bottiglia molotov è considerata dall'ordinamento arma da guerra, il cui possesso qualifica automaticamente il reato di terrorismo).
L'assoluzione in primo grado di tutti gli altissimi dirigenti era stata considerata da molti una autentica vergogna. Infatti quel colpo di spugna, insieme alla condanna di qualche quadro basso a pene miti (ma il numero di anni di condanna finisce con l'essere secondario, anche se si fatica a capire il nesso tra una condanna a tre o quattro anni per la rottura delle teste e dei polmoni, e una condanna a sedici anni per la rottura di una vetrina e di un bancomat), aveva inficiato il principio della responsabilità e contribuito ad avallare l'orribile criterio della impunibilità, già così presente nella vita delle istituzioni. E ben presente anche nella vicenda genovese, se si riflette anche sul fatto che fra gli indagati non figura mai un carabiniere: eppure i tribunali genovesi che hanno giudicato 25 manifestanti, ne hanno assolto alcuni perché il loro comportamento era stato motivato proprio da cariche violente e ingiustificate dei reparti speciali dei carabinieri.
La sentenza per la Diaz è attesa per aprile. Auguriamoci che ci sia "un giudice a Berlino".
Giuliano Giuliani