L'archiviazione dell'omicidio di Carlo era stata una conclusione meschina e inaccettabile della vicenda simbolo dei tragici avvenimenti genovesi del 2001. Una inchiesta che partiva un minuto prima dello sparo e si fermava un secondo dopo, neanche il tempo di vedere il carabiniere che gli spacca la testa con una pietrata per consentire a un vice questore di incolpare un innocente manifestante e provare a depistare. Poi, ad accrescere la nausea, c'era stata l'invenzione dello sparo per aria che impatta un calcinaccio costruita da quattro imbroglioni che chiamano consulenti.
Molte cose, sulla vicenda di Carlo, sono venute fuori nel processo a carico di 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio, contraddizioni, smentite, puntualizzazioni, capriole, a dimostrazione che un processo può servire a trovare la verità, mentre l'archiviazione può solo provare a cancellarla. Molte di quelle cose hanno costituito la base per un ricorso alla Corte europea dei diritti umani e un primo risultato lo si è ottenuto quando la Corte lo ha considerato, cosa che non succede facilmente, ricevibile. E' trascorso del tempo, e ieri la Quarta sezione ha emesso la sua decisione: lo Stato italiano è stato condannato per violazione dell'articolo 2 della Convenzione, che riguarda appunto il diritto alla vita.
Vale la pena di chiarire, perché molti hanno equivocato (c'è chi lo fa per mestiere) ed espresso delusione. La sentenza parla della legittima difesa, ma dice che la situazione che la ha determinata è stata provocata da responsabilità che andavano individuate. Questi i passaggi significativi: la Corte ha rilevato che "l'inchiesta non ha esplorato le ragioni per cui Mario Placanica - ritenuto dai suoi superiori incapace di proseguire il suo servizio in ragione del suo stato fisico e psichico - non sia stato immediatamente condotto all'ospedale, sia stato lasciato in possesso di una pistola carica e collocato in una jeep priva di protezione che si è trovata isolata dal plotone che aveva seguito"; la Corte considera che l'inchiesta avrebbe dovuto valutare aspetti dell'organizzazione e della gestione dell'ordine pubblico, "poiché c'è un legame tra il colpo mortale e la situazione nella quale si sono ritrovati Filippo Cavataio e Mario Placanica.
In altri termini l'inchiesta non è stata adeguata nella misura in cui non ha ricercato quali siano state le persone responsabili di questa situazione". Che è esattamente ciò che sosteniamo da anni: vanno indagate e ricercate le responsabilità politiche e della catena di comando, riconfermando così che in ogni violazione esiste un principio di responsabilità che sta sempre prima in alto e poi in basso.
Lo Stato è stato condannato a un risarcimento: 40.000 euro. Ovviamente verranno versati al Comitato Piazza Carlo Giuliani, la onlus alla quale il Comune di Genova ha recentemente assegnato una sede (per la quale il Comitato paga un regolare affitto, stiano tranquilli i soliti beceri rappresentanti della destra). Vi si sta allestendo un Centro di documentazione, che si arricchisce anche di testimonianze individuali e collettive, aperto alla città. Un Centro per continuare a parlare di Genova e delle tante altre piazze Alimonda, un Centro per proseguire un non facile cammino di paziente ricerca di giustizia e prima ancora di verità.