«Se cercate Carlo, guardate in mare», dice enigmatica Haidi Giuliani annunciando la lettura in più lingue di un poemetto scritto da suo figlio appena diciassettenne. L'operina si inititola "La condanna a morte del reprobo" e sale a leggerla Enrico, Gogo come lo chiamavano Carlo e Edo ai tempi della scuola. Anche stavolta tocca a lui prendere la parola dopo il minuto scandito da applausi e pugni chiusi e abbracci scoccato alle 17.27 chiuso dalle esortazioni di don Gallo che aveva diciassette anni il 25 aprile. L'ultimo verso di quel componimento dice proprio: «...Lo vedrete correre sul mare». Chissà cosa avrà voluto dire la mamma di Carlo otto anni dopo l'omicidio impunito di un ragazzo di ventitre anni che manifestava con altri diecimila che scendevano dallo stadio Carlini con un corteo regolarmente autorizzato e assalito con ordini illegittimi e armi illecite da centinaia di carabinieri come impazziti. Carlo si trovò in piazza Alimonda di fronte a un defender, una jeep, vide una pistola impugnata da killer, non la perse di vista mentre si accucciava a raccogliere un estintore. La pistola lo ammazzò. Un giudice archiviò: a difendersi legittimamente sarebbe stato il carabiniere. Otto anni dopo Giuliano e Haidi, e quelli che non li hanno mai lasciati soli, hanno deciso di dedicare la ricorrenza alle risposte negate. Le hanno stampate e appese sulla ringhiera della chiesa della piazza: perché era lì quella jeep non adeguata all'ordine pubblico? E perché gli orari di ingresso in ospedale e i referti del pronto soccorso dei due carabinieri, Placanica e Raffone che sarebbero stati a bordo non combaciano? Perché nel certificato di Placanica non figurano i tre punti di sutura alla testa? E perché fu interrogato solo dopo un'ora e mezza dalle sue dimissioni? Perché nessuno gli farà mai l'esame del guanto di paraffina? Perché spunta solo il giorno dopo il nome di un altro occupante del defender, Raffone? Perché fu picchiato selvaggiamente un reporter che riprese la scena? Perché costui non vorrà mai dire cosa gli fu intimato? Perché il vice questore Lauro tirava sassi ai manifestanti? Perché lo stesso gridò a ll'ultimo ragazzo rimasto in piazza che aveva ucciso Carlo con un sasso? Chi infierì con una pietra sul viso del morto? E perché lo presero a calci? E perché gli alti ufficiali dei cc chiamarono un ambulanza per un politraumatizzato senza menzionare la pistolettata? Perché fecero lanciare lacrimogeni a chi tentava di soccorrere Carlo? Risposte che solo un processo pubblico avrebbe permesso di trovare. Risposte negate. Come sono state negate per 30 anni a "Iaia", la sorella del militante del Leoncavallo ucciso con il suo compagno Fausto nel '78. O a Stefania Biagetti, la mamma di Renato, accoltellato tre anni fa mentre usciva da una festa reggae su una spiaggia romana. O a Natascia Casu, la figlia di Giuseppe, morto legato a un letto in un ospedale psichiatrico di Cagliari.
Ieri erano tutte lì, come ogni anno, come ci sono sempre Fabio, Marica, Alessio Lega e tutti gli altri suonatori, e qualcuno dalla Val Susa, da Vicenza, "avanzi" di social forum nazionale e locali (Bolini, Muhlbauer, Nicotra, Agnoletto, Monteventi, Bruno), avvocati e attivisti, non tanti, ma da ogni dove. Tutti lì per la medesima ragione che spiega Paolo Ferrero a Liberazione : «Dopo otto anni di teoremi, giustizia non è stata fatta. Il filo di quelle ragioni col nostro partito non si è mai spezzato». Nella delegazione del Prc anche Alfio Nicotra e Claudio Grassi, responsabile Organizzazione. Dice che è possibile che in autunno, che ci sia un'ondata di scontro sociale. Sa che per allora servirà un soggetto politico credibile, che sappia tornare alla società. Oggi, un'altra «giornata delle verità scomode», come le chiama Agnoletto, saranno otto anni dalla notte cilena della Diaz. Prima della fiaccolata, in un circolo Arci, si dibatterà sulle ragioni di quel luglio. A condurre, Lorenzo Guadagnucci, giornalista e vittima alla Diaz, domanderà ai suoi interlocutori (tra gli altri Gubbiotti, Nicotra, Agnoletto, Antonio Bruno, Zoratti) se il patrimonio culturale e di lotta del movimento no global possa servire a produrre qualcosa di nuovo e di diverso. «Il movimento è una miniera - ribatte Nicotra - ma c'è il rischio di una sorta di "punto final" strisciante che assolva i responsabili di quelle violenze. Se De Gennaro, ancora sotto processo a Genova, comanda oggi i servizi segreti, vuol dire che è stato potenzialmente assolto».