Cominciamo col dire cosa non sta facendo Daniele Vicari. Non sta girando né pensando a un film su Carlo Giuliani, come molti cominciano a dire, forse per vendere qualche copia in più, forse per mettere i bastoni tra le ruote a uno dei registi più coraggiosi - artisticamente e politicamente - del nostro panorama cinematografico. Si sta documentando, come ha anticipato il suo produttore Domenico Procacci, per fare Diaz , racconto su grande schermo del massacro nella scuola ben lontana, anche logisticamente, da Piazza Alimonda.
E' vero, Vicari ormai passa per Genova spesso e volentieri, ma per un film importante, nuovo, diverso. Il prossimo, Per una volta dai retta a me: corri . Una frase su un muro, un titolo poetico e splendido. Parole di Edoardo Parodi, autore in Piazza Manin di un'altra scritta commovente e disperata. "Un amico, un fratello, ciao Carlo".
Ecco, il punto su cui qualcuno gioca e strumentalizza: Edo era un amico sincero, strettissimo di Carlo Giuliani, insieme fin dal liceo scientifico, dalla comune passione per il calcio, anche se su sponde diverse (giallorosso romanista Carlo, cuore rossoblu Edo) allo spirito libero, anarchico. Dopo la morte, l'omicidio dell'amico-fratello al G8 di Genova, il 20 luglio 2001, qualcosa si spezzò dentro di lui, il sentimento profondo che provava e forse un ingiustificato senso di colpa lo consumarono, portandolo a presidiare fisicamente i luoghi in cui si incontravano, in cui erano cresciuti. Finché il 2 febbraio del 2002 Edo non partì per Zurigo (con un amico, forse per non lasciarlo solo?), per una manifestazione contro il WTO. Di ritorno, il giorno dopo, si sarebbe goduto la trasferta della sua squadra del cuore, Como-Genoa, facendo tappa a Lugano, dal suo amico e compagno di gradinata nord Mattia Vassalli. Allo stadio non arriverà mai, Mattia lo troverà riverso nel letto, morto, sangue dal naso e dall'orecchio. Miocardite acuta. Un'altra giovane vita spezzata, un fisico già debilitato dal dolore forse subì il colpo di grazia dei lacrimogeni del tipo Cs, che contengono ortoclorobenzalmalononitrile, una sostanza cristallina che si trasforma in gas urticante per la pelle e le mucose, usati dalle forze dell'ordine elvetiche nelle proprie cariche contro i manifestanti. Un giallo tra disinformazione e silenzio assoluto (o quasi: scrisse un bel pezzo Andrea Boschi su "Il manifesto", poi qualche trafiletto incompleto e allusivo su altri giornali). Vicari si concentrerà su quel periodo, dal 20 luglio 2001 al 3 febbraio 2002, su questa storia d'amicizia tenera e tragica. Prodotto da Tilde Corsi con l'aiuto di Vivo Film e Minollo e con l'apporto, in sceneggiatura, di Massimo Gaudioso e Virginia Borgi.
Da quasi due anni mi parli di questo film. Da quando mi chiamasti per commentare un mio articolo su "Liberazione" (del 15 luglio 2007) su Genoa-Napoli, ma soprattutto su Edoardo Parodi. Raccontavo quel 10 giugno di festa e l'incontro con la sua famiglia. Dalla targa a lui dedicata nello stadio Ferraris e dalle loro parole, scoprii la storia di questo ragazzo. Tu come ci sei arrivato?
Un trafiletto. Mi incuriosì e così cominciai a fare telefonate, molte. Chiesi agli amici di Rifondazione di Genova, ad amici dei centri sociali e la prima volta che salii nel capoluogo ligure chiesi di parlare con la famiglia, con i genitori Pia e Sandro e il fratello Andrea. Mi colpì molto il loro dolore e la voglia di raccontare la storia di Edo, che si venisse a conoscenza della verità. Mi è sembrato naturale pensare a un film.
Un dolore composto, contagioso. Impossibile non sentire la mancanza di Edo dopo averlo conosciuto attraverso le loro parole...
Anche per questo non cerco né voglio un film politico. Edo è un ragazzo qualunque, anche la sua morte non ha nulla di "eccezionale", non è avvenuta sotto gli occhi delle televisioni di tutto il mondo, se ne è andato a casa di un amico, una morte quasi segreta, in sordina e questa cosa mi ha sempre commosso. Allo stesso tempo però aveva a che fare anche con una storia più grande della sua, quella di Carlo, appunto, di fronte alla quale un ragazzo di 22 anni non può fare nulla. Racconterò quei sei mesi dopo la tragedia e la sua reazione. Non può essere un'opera di denuncia, quindi, proprio per la natura della storia.
E che racconto sarà allora?
Un film sentimentale, è in ballo la vicenda di un'amicizia profonda e interrotta in maniera dolorosa, assurda. La morte, anzi l'uccisione di Carlo Giuliani - chiamiamo le cose come stanno - è un terrificante dato di fatto di fronte al quale è giusto prendere una posizione. Edo lo sa che la sua non è l'unica, sa che è giusta anche quella degli amici che cercano la verità. Ma lui sente quasi che non lo riguarda, per lui la grande bugia è quella foto di Carlo con l'estintore in mano. "Non è Carlo - diceva - quell'immagine non lo rappresenta". Una bugia raccontata a tutti, ormai già passata.
Racconterai anche quell'ambiente degli ultras spesso trattato con pregiudizio e snobismo e che tanto è stato importante per Edo e per la sua famiglia?
Certo che racconterò quell'ambiente. Edo non era a Genova durante il G8 perché seguiva il Genoa in ritiro (la sua stanza ora è tappezzata delle maglie regalate dai giocatori di allora, una targa - "Il pugno chiuso verso il cielo, un urlo di dolore, un compagno che rimane dentro il cuore, ciao Edo. I compagni rossoblu"- lo ricorda nella mitica gradinata nord dei tifosi rossoblu - ndr). Molti genovesi fecero la sua scelta di fronte alla propria città blindata e invasa: andarsene. Nel mondo del calcio Edo si è riconosciuto con forza ed è giusto raccontarlo come un posto in cui si può stare bene. Non seguo alcuna squadra, ma mi rendo conto che nell'universo delle tifoserie c'è passione, sentimento, il riconoscersi in un ideale comune. E non c'è nulla di male in questo.
Proprio grazie al fatto di essere tifoso, allo stadio, ho saputo di questa vicenda. E so che spesso si tende a demonizzare chi va allo stadio, a escluderlo dalla società.
Vero, ma è anche colpa vostra. Evidentemente spesso non c'è la volontà né la capacità di comunicare l'immagine giusta, come quella che racconterò io, il mondo ultras attraverso gli occhi di Edoardo Parodi: un luogo accogliente in cui ci si può esprimere.
Nella nostra ultima intervista esprimevi qualche perplessità sul cinema civile.
È un po' di tempo che vado dicendo questa cosa, pur sapendo di voler fare questo film su Edo. E continuo a dirlo perché ormai la denuncia la fa la stampa, la tv. Secondo me un film deve aggiungere qualcosa non tanto alla comprensione dei fatti avvenuti, ma ai significati profondi di una storia. E così pur avendo scelto di lavorare a soggetti reali legati a eventi storico-politici precisi, lo sforzo massimo che sto facendo nella sceneggiatura di questi progetti è proprio quella di non andare verso il film a tesi, il cinema di denuncia.
Progetti? Saranno più d'uno?
Sì, il film avrà un inizio, uno svolgimento e una fine: la morte di Carlo, i sei mesi di Edo senza di lui, la sua morte. Verrà girato in digitale, con un cast tutto genovese, e dopo l'uscita nelle sale ci sarà il dvd, che vedrà un percorso multiplo e interattivo fatto di 9 documentari sui tre giorni del G8 che si intrecceranno attraverso snodi presenti nel menù del supporto stesso. Tanti angoli individuali di visione, dal dottore al poliziotto, al manifestante.
Un lavoro che completerai idealmente poi con "Diaz"?
Non sappiamo ancora cosa sarà questo film, stiamo cominciando a sceneggiarlo, o meglio a documentarci, aspetto fondamentale. Un'impresa titanica, visto il ruolo cruciale di quella notte nella storia moderna dell'Italia e il mare magnum di informazioni: 160 udienze, una valanga di materiali processuali, tantissime persone coinvolte, destini incrociati che per un narratore sono una sfida pazzesca, bella e difficilissima. Rischia di non essere pronto prima del decennale del G8. Non sappiamo cosa sarà quest'opera, spero solo di saper restituire la complessità di un'esperienza così estrema e ci prenderemo tutto il tempo necessario, è un'opera che avrà una lunga gestazione.
Tornando a "Per una volta dai retta a me: corri", l'impressione è che sia una tappa fondamentale per te.
Edo per me è un vero e proprio passaggio di vita e lavorativo. Portare a termine questo progetto mi permette di riavvicinarmi a tematiche da cui in questi anni mi ero tenuto lontano, quelle socio-politiche, ma facendolo con il mio cinema, fatto di psicologie e personaggi e che non si limita al racconto dei fatti.