Dalla Mirafiori degli anni Settanta all'odierno sfruttamento dei migranti nei campi di pomodori o nei cantieri. Dalla nube alla diossina di Seveso alla sicurezza nei cantieri, il precariato multilingue (e femminile) della cura domestica, il lavoro minorile in Africani e Asia ma anche alle porte dell'Europa (Sultanhamet a Istanbul come documenta Federico Moleres). «Al lavoro-Genova chiama» è una mostra che fa riflettere partendo dai dati. Dal 1951 al 2005 si sono infortunati oltre 64 milioni di italiani e 151.730 sono morti. Il miraggio di un lavoro ha portato nella tomba quasi 15 mila immigrati che hanno tentato dal 1988 a oggi di entrare clandestinamente in Europa.
La mostra, nelle Sale del Munizioniere sino al 22 luglio, fa da corollario alle giornate legate al G8 genovese del 2001 ed è allestita da Progetto comunicazione, sotto la direzione artistica di Federico Mininni. Tra le curiosità anche un reportage fotografico inedito di Fabrizio Gatti sulla sua traversata del Sahara, dalla Costa d'avorio alla Libia, scattato mentre scriveva per il Corriere della sera, come racconta in un video. «Al Lavoro» è infatti un allestimento soprattutto visivo, basato su una cinquantina di filmati che accompagnano oltre 350 fotografie e raccontano amianto, Eternit, Thyssen (con la mostra realizzata dal Comune di Torino «Chi muore al lavoro»), la precarietà, lo sfruttamento nei supermercati, il lavoro migrante in casa (la badante ucraina a 600 euro al mese in nero), nei cantieri e in agricoltura.
La mostra , realizzata con la collaborazione del Comitato Carlo Giuliani, Verità e giustizia e Arci, col contributo di Comune e Provincia di Genova, Cgil di Genova e della Liguria, sarà anche la sede di alcuni dibattiti che si snodano nella settimana: oggi alle 17,30 la presentazione del libro «Cosa cambia» di Roberto Ferrucci, giovedì «Lavorare uccide» di Marco Rovelli, venerdì del documentario di Francesca Comencini «In fabbrica» con la regista medesima.
Da qui si parte domenica per raggiungere con un corteo piazza Alimonda dopo aver parlato, in mattinata, della tortura che non ha ancora un riconoscimenti giuridico nel nostro codice penale (e infatti i pm non hanno potuto attribuire la tortura agli imputati di Bolzaneto nonostante alcuni episodi non siano altrimenti definibili). Interverranno fra gli altri Enrica Bartesaghi, presidente del Comitato Verità e Giustizia per Genova, e Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International. Poche ore dopo, a piazza Alimonda nel pomeriggio di domenica 20, ci sarà una novità: «Abbiamo deciso di non far suonare i gruppi che hanno sempre dato generosamente la loro disponibilità - spiega Haidi Giuliani - ma solo i rom, in segno di condanna delle politiche di repressione e schedatura che il governo italiano sta portando avanti contro quel popolo». Perciò sia alla mostra che a piazza Alimonda ci sarà un banchetto dell'Arci che continua la raccolta delle firme per la campagna nazionale contro la loro schedatura. Lunedì 21 luglio come ogni anno ci sarà la fiaccolata alla Diaz organizzata dal comitato Verità e giustizia con la proiezione di un video all'interno della scuola Pascoli, sede del Media center nel 2001. Martedì si conclude, ancora al Ducale, con un dibattito sulla repressione. Tra le novità importanti, il sindaco Marta Vincenzi riceverà domenica le vittime della Diaz e di Bolzaneto che si sono costituite parti civili nei due processi. Un segnale, dopo che il Comune ha tentato senza riuscirci di costituirsi parte civile al processo dei manifestanti accusati di devastazione e saccheggio mentre ha scelto di non palesarsi nè nel processo Diaz né in quello Bolzaneto.