Del prefetto Gianni De Gennaro - ieri capo della polizia, successivamente promosso capo di gabinetto del ministero dell'Interno, poi sorprendentemente accreditato di specifiche competenze nel trattamento dei rifiuti in Campania - ricordo con precisione alcuni passaggi dell'intervista che concesse a Enrico Mentana il 25 luglio 2001, pochi giorni dopo la chiusura del fatidico G8 di Genova. Fresco di lana grigia, cravatta a righe, atteggiamento dinoccolato per accrescere l'impressione di serena sicurezza. Al più qualche leccatina alle labbra. D'altra parte le domande di Mentana favoriscono le risposte. Insomma, un tappeto di petali. Più o meno come quello riservatogli, salvo rare eccezioni, nel corso dell'audizione in comitato d'indagine parlamentare qualche giorno dopo, l'8 agosto 2001. In entrambe le occasioni una quantità industriale di affermazioni che con la verità sembrano avere ben poco da spartire.
Fior da fiore: «...è stato vietato il corteo organizzato dalle tute bianche che volevano ed avevano preannunciato un corteo dal Carlini sino ad una piazza. Questo corteo non era autorizzato, questo corteo è stato fermato, per decisione naturalmente dei funzionari e delle autorità, a via Tolemaide, credo, dove ci sono stati poi gli scontri più drammatici che hanno portato anche ad un ulteriore dramma, quello della morte di un manifestante».
Ovviamente, il corteo era autorizzato e fu violentemente e senza alcuna giustificazione attaccato da un reparto speciale dei carabinieri, come ha riconosciuto una recente sentenza del tribunale di Genova.
Continuiamo: «... contesto ben conosciuto di rischi e di pericoli di possibili violenze, gruppi particolarmente violenti ben conosciuti». Ovviamente tanto conosciuti, con riferimento agli infiltrati, che non ne hanno fermato neppure uno. E ancora: «... per quanto riguarda lo stadio Carlini, è stata effettuata una perquisizione, ma, come spiegherò anche quando parlerò della scuola Diaz o Pertini non ne ero certamente a conoscenza». Ovviamente, lo sapeva benissimo. Infatti l'ex questore Colucci il 28 agosto 2001 aveva dichiarato in comitato d'indagine: «Il dottor Sgalla invece era sul posto perché lo inviai io, su indicazione del capo della Polizia».
E questa è la ragione della richiesta del rinvio a giudizio per De Gennaro. Istigazione alla falsa testimonianza. Infatti Colucci, quando tornò come testimone nel tribunale di Genova, si rimangiò tutto. E poi, parlando al telefono con Mortola (ex capo della Digos genovese, anche lui con richiesta di rinvio a giudizio per aver fatto da tramite), si autocelebrò per aver fatto quello che il capo gli aveva chiesto: cambiare versione appunto. Colucci, forse a titolo di ringraziamento, è stato recentemente promosso prefetto e figura al settimo posto nella gerarchia nazionale dei superpoliziotti.
Un altro degli alti dirigenti operanti a Genova e presenti davanti alla Diaz prima della "perquisizione legittima" (così ovviamente la definiscono De Gennaro e sodali), è Gianni Luperi, promosso capo dell'agenzia di informazione e sicurezza interna ex-Sisde. Ha in mano il sacchetto di plastica azzurro che contiene le molotov portate poi dentro la scuola per accusare di terrorismo quelli che ci dormivano, sa del falso della coltellata a un agente, conosce le infamie di Bolzaneto, ma tutto quello che ha a dire è: "pagina orribile", "io in quella scuola non ci volevo andare».
Il portavoce della polizia, Roberto Sgalla, uomo di fiducia di De Gennaro, chiama i giornalisti domenica 22 luglio in mattinata per una visita alla scuola Diaz, mostra come prova inconfutabile della violenza dei manifestanti le molotov e le mazze di piccone che i poliziotti avevano prelevato dal confinante cantiere edile e poi dice: «... siamo entrati per consentire di portare aiuto a quelli che erano stati feriti nel pomeriggio». E' lo stesso funzionario di Stato che l'11 novembre dell'anno scorso, ad Arezzo, dopo l'omicidio del tifoso della Lazio, Gabriele Sandri, sull'autostrada, avalla la tesi dello sparo per aria. E' lo stesso che quattro giorni prima, il 7 novembre 2007, viene insignito a Bologna di un premio in comunicazione pubblica.
Lo Stato, così sembra sia stato deciso, non sovvenzionerà il risarcimento a carico delle vittime delle violenze a Bolzaneto. Dovranno provvedere gli stessi agenti, perché con il loro comportamento hanno "interrotto il nesso organico" con le istituzioni. Quelli che in piazza Alimonda spaccano la fronte di Carlo con una pietrata dopo averlo sparato conservano ancora il "nesso organico"? Non chiedo risarcimenti. Vorrei le scuse a nome dello Stato, ma anche in alto si ignora la richiesta. Insomma, c'è da pensare che la monnezza non sia solo un problema di Napoli e della Campania.