La sola cosa che riesco a pensare nitidamente adesso è questa: andare a costituirmi come correa dei manifestanti contro il G8 del luglio 2001 condannati con sentenza di primo grado. Andare a costituirmi a fianco dei compagni di mio figlio Carlo, ucciso.
Giro e rigiro nella mia mente questa sentenza d'un processo mosso dall'abnorme accusa di devastazione e saccheggio. Giro e rigiro le distinzioni operate dai giudici della Corte di Genova rispetto all'impianto d'accusa proposto dai magistrati inquirenti. Giro e rigiro i riconoscimenti delle responsabilità delle forze dell'ordine, nei fatti d'allora e nelle falsificazioni successive. Ma, girando e rigirando, non riesco a scrollarmi di dosso l'insopportabile sensazione di pesantezza che mi domina ora. Una sensazione di ingiustizia: sostanziale e irriducibile.
Non riesco a vedere, in quella così "comminata", altra giustizia che una giustizia incapace di giustificarsi se non prescindendo dall'insieme dei fatti - che è il motivo, il solo, per il quale ho sostenuto, sostegno e sosterrò la battaglia per la commissione d'inchiesta parlamentare, ad oggi silurata.
Vedo tutta la mancanza, pervicace, di comprensione di quel che è avvenuto davvero. Vedo l'ingiustizia ultima di non aver voluto almeno riconoscere a tutti gli imputati d'aver subito quella che il codice stesso definisce una «provocazione grave».
Per alcuni e non per altri è stata riconosciuta la validità dell'accusa di devastazione e saccheggio, che la Procura proponeva per tutti. Ma anche fosse stato per uno solo: come si può parlare di devastazione e saccheggio da parte dei manifestanti, quando le forze dell'ordine hanno compiuto devastazione di corpi e di diritti - e saccheggio di vite?
Conosco quasi tutti gli imputati. E, ripeto, pensando soprattutto a loro, non riesco a provare altro che un sentimento di enorme ingiustizia.
Vorrei sapere a quanto saranno condannati i responsabili delle morti di Torino, delle morti di quegli operai bruciati dal sistema di sfruttamento cieco che chi è sceso nelle strade di Genova il luglio di sette anni fa denunciava.
Vorrei sapere a quanto saranno condannati i responsabili della mancanza di sicurezza sul lavoro, in tutti i luoghi di lavoro, dove in una precarietà dilagante si rischia la vita ogni giorno, ogni notte.
Cosa andremo a dire, dopo questa sentenza, ai giovani che provano giustamente rabbia di fronte alle ingiustizie di una società nella quale ormai vale unicamente il dio denaro, il dio mercato?
Lo stesso dio che solo può sostenere questa bilancia: dieci anni per una vetrina rotta, zero per una testa rotta. Zero per una vita spezzata. Non potrò accettarlo mai.