Il processo ai 25 manifestanti è ormai in dirittura d'arrivo. Oltre due secoli per i 25 imputati, la pena richiesta dai pm. Con oltre 300 ore di video e 15 mila fotografie circa, il processo ha sviscerato molto di quelle giornate. Quanto è emerso ha dato la possibilità di precisare come la preparazione di quelle giornate nel luglio 2001 abbia coinvolto i più alti vertici di polizia e carabinieri. Un vertice, quello di Genova, che rimarrà nei libri di storia e di cui molto è conosciuto, tranne gli aspetti più spietatamente politici. Sull'operatività (chi comandava cosa e chi) molti dubbi sono stati risolti, grazie all'identificazione attraverso relazioni di servizio, segnali sui caschi, divise. Manca solo l'ultimo tassello: chi volle che in quelle giornate si creasse un clima di impunità per le forze dell'ordine e di terrore per le strade, in modo che saltassero all'aria accordi, diritti e libertà di manifestare. Le centinaia di testi però, non sembrano essere stati registrati dai pm, tanto che l'accusa ha specificato: «Non mi serve un consulente tecnico e neanche un testimone per apprezzare quello che vedo». Ovvero, un milione e passa di euro spesi per un processo in cui alla fine i pm hanno ribadito le proprie convinzioni, già chiare ancora prima di ascoltare tutte le voci in tribunale. Quella che segue è una carrellata di testimoni del processo ai 25, che si incrocia con i tragici fatti di piazza Alimonda, archiviati e senza un processo. Nonostante i pm abbiano cercato di circoscrivere gli eventi al comportamento dei soli manifestanti, le centinaia di udienze hanno permesso invece di scoprire parecchi lati nascosti di quelle giornate: in modo particolare la preparazione e l'atteggiamento delle forze dell'ordine per le strade di Genova.
Il Tenente e Sun Tzu
«Nei giorni del G8 ero effettivo come tenente nel XII Battaglione Sicilia. Per il G8 si costituì il Ccir, Compagnia di contenimento e intervento risolutivo. Sembra un parolone ma non era altro che una compagnia che usava i nuovi equipaggiamenti per l'ordine pubblico». Il tenente Mirante è nei punti nevralgici del G8: via Tolemaide, via Caffa, piazza Alimonda. Avvezzo a situazioni drammatiche, ricorda che sembrava di essere «nelle retrovie della prima guerra mondiale, poiché la guerra è come l'ordine pubblico». Cita Sun Tzu e De Gaulle, ma poi, quando si tratta di piazza Alimonda, la sua memoria e la sua arte oratoria si spengono. Ha visto tanti morti, lui. Il corpo di Carlo Giuliani e la possibilità che sia stato colpito da una pietra, già morto a terra, o ucciso dalla retromarcia del Defender, non lo tocca: «Ho visto tanti corpi colpiti da investimento: il corpo può rimanere integro ed essere stato investito. Non si può stabilire perché era morto, addirittura in alcuni processi l'avvocato cerca di dimostrare che uno è morto per infarto prima che per investimento».
Maestri di guerra
Benché Mirante minimizzi, la formazione di reparti speciali dei carabinieri ad hoc per Genova è un chiaro segnale di come le forze dell'ordine si siano preparate all'evento. Il curriculum dei capi di queste formazioni è di tutto rispetto. A Genova comandava, direttamente dalla zona Fiera, il generale Leso. Fondatore e capo in Bosnia e Kosovo delle Msu, Multinational Specialized Unit, la polizia internazionale finanziata dalla Nato, era anche a capo della seconda brigata mobile dell'arma, con lo scopo di addestrare e coordinare i reparti in missione di guerra. Tra i suoi uomini, parà Tuscania, teste di cuoio dei Gis e Ros. Con Leso ci sono Cappello, oggi maggiore, e Truglio: nel 1994 sono tutti insieme in Somalia e vengono citati nel memoriale Aloi fra «gli autori o persone informate delle violenze perpetrate contro la popolazione somala». L'inchiesta fu archiviata. Cappello, dopo Genova, viene mandato a comandare l'unità militare a Nassiriya (si salvò dalla strage perché in bagno) e ad addestrare la nuova polizia irachena (pare grazie ai video del G8). A Genova c'erano i capi delle missioni italiane all'estero, ma tutto questo per i pm non ha contato. Ha contato invece l'assalto mediatico del funzionario di polizia che accompagnava i militari italiani, Adriano Lauro.
Il dirigente e i sassi
Adriano Lauro era il responsabile dell'ordine pubblico in piazza Alimonda, oggi dirige il commissariato romano dell'Esquilino. E' lui a conquistarsi la scena in piazza Alimonda quando, rincorrendo un manifestante, gli urla «bastardo, l'hai ucciso tu con il tuo sasso». E i sassi, nelle sue deposizioni in aula, appaiono e scompaiono al fianco del corpo di Carlo Giuliani, e tra le sue mani. Il dirigente infatti è beccato a lanciare sassi ai manifestanti e sarà richiamato in aula a riconoscere quello che appare insanguinato accanto al corpo di Carlo (con la ferita a stella sulla fronte), salvo poi scomparire di nuovo. E ricorda gli attimi immediatamente successivi: «Si avvicina un poliziotto e mi dice che c'è un giornalista che ha raccolto un bossolo. Io dico "come un bossolo? Fammelo vedere". L'ho preso e ho chiesto dove l'ha trovato. "Vicino al cadavere", mi risponde. Ho avuto un'altra mazzata psicologica e ho pensato che non fosse stato un sasso. Avevo ancora dei dubbi. Penso di aver richiamato Massucci e di avergli detto "mi sa che non era un sasso, potrebbe essere stato un colpo, gli ho detto"».
Gaggiano e gli imbuti
La madre di tutti i disastri genovesi, prima dell'omicidio di Carlo Giuliani, è però la carica al corteo autorizzato di via Tolemaide. I carabinieri, per i pm, non sono responsabili di niente, d'altronde «è stato scelto dai manifestanti di scendere giù, ovvero non sono state le forze dell'ordine a far passare il corteo in via Tolemaide per poterlo aggredire», ha specificato Canciani in udienza. Angelo Gaggiano si presenta sul banco dei testimoni a Genova, dopo aver rilasciato dichiarazioni alla stampa nelle quali si era preso ogni responsabilità per la carica. Immagini e audio dimostrano il contrario. La deposizione di Gaggiano, goffa e macchiettistica, colma di dimenticanze e confusione, sfuma sulle sue comunicazioni radio, preannunciate dal grido che giunge dal centro di controllo della polizia: «No! Porco Giuda, hanno caricato le tute bianche!». Gaggiano spende minuti concitati a chiedere ai carabinieri di rientrare, di ritirarsi per lasciare il corteo. Parla di «imbuti», «qui non ci muoviamo più», continua a ripeterlo via radio, ma in udienza omette molto. L'attendibilità della testimonianza di Gaggiano, oggi in pensione, viene infine minata da un sordido retroscena: una condanna per ricettazione di mobili rubati, insieme a un magistrato.
Le spranghe di ordinanza
Il capitano Antonio Bruno è a capo dei carabinieri che, accompagnati dal funzionario di polizia Mondelli, caricano il corteo delle tute bianche. La sua deposizione, coadiuvata da immagini e fotografie, dimostra due cose. In primo luogo che la carica fu arbitraria e ingiustificata: i carabinieri partono all'attacco del corteo senza aver subito quel lancio di oggetti, come ha sostenuto in aula il funzionario ps Mondelli; si girano prima a sinistra caricando fotografi e giornalisti (si sente uno di loro urlare «aò so della Rai»), poi a destra, imboccando via Tolemaide e affrontando con grande veemenza gli scudi di plexiglass delle tute bianche. In secondo luogo le immagini hanno permesso di chiarire che, durante la carica, i carabinieri anziché usare i tonfa di ordinanza fecero uso di mazze di ferro. Nel novembre 2004 le udienze su via Tolemaide e la caccia all'uomo delle forze dell'ordine non sembravano più in dubbio per nessuno, così come le reticenze di molti testimoni. Tranne per i pm.
Gli esperti di ordine pubblico
A sorreggere l'ipotesi difensiva - forze dell'ordine in bambola, impreparate e in mano ai picchiatori - è giunta a Genova anche la professoressa Donatella Della Porta, esperta di ordine pubblico e movimenti. Una presenza sgradita ai pm, tanto che Canciani ha minimizzato: «La consulenza tecnica della difesa era un'attività che poteva fare chiunque». Della Porta inquadra il problema: i reparti dovrebbero caricare solo quando sono messi a repentaglio «gli stessi manifestanti». Invece a Genova l'intervento coercitivo ha avuto la meglio, con l'utilizzo di «strumenti che gli stessi funzionari di polizia avevano considerato nelle nostre interviste come pericolosi per una escalation: i lacrimogeni e l'uso dei blindati come strumenti di carica, una cosa che si vedeva negli anni '60 e che aveva fatto morti nei '70».
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