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Dalla Somalia al G8, la guerra di Genova
Le giornate del G8 rilette attraverso le testimonianze del processo ai 25 manifestanti. Tra citazioni «belliche», reparti speciali dei cc creati ad hoc, addestrati e comandati da gente abituata alla Bosnia e al Kosovo
Simone Pieranni
Fonte: Il Manifesto, 27 ottobre 2007
27 ottobre 2007

Il processo ai 25 manifestanti è ormai in dirittura d'arrivo. Oltre due secoli per i 25 imputati, la pena richiesta dai pm. Con oltre 300 ore di video e 15 mila fotografie circa, il processo ha sviscerato molto di quelle giornate. Quanto è emerso ha dato la possibilità di precisare come la preparazione di quelle giornate nel luglio 2001 abbia coinvolto i più alti vertici di polizia e carabinieri. Un vertice, quello di Genova, che rimarrà nei libri di storia e di cui molto è conosciuto, tranne gli aspetti più spietatamente politici. Sull'operatività (chi comandava cosa e chi) molti dubbi sono stati risolti, grazie all'identificazione attraverso relazioni di servizio, segnali sui caschi, divise. Manca solo l'ultimo tassello: chi volle che in quelle giornate si creasse un clima di impunità per le forze dell'ordine e di terrore per le strade, in modo che saltassero all'aria accordi, diritti e libertà di manifestare. Le centinaia di testi però, non sembrano essere stati registrati dai pm, tanto che l'accusa ha specificato: «Non mi serve un consulente tecnico e neanche un testimone per apprezzare quello che vedo». Ovvero, un milione e passa di euro spesi per un processo in cui alla fine i pm hanno ribadito le proprie convinzioni, già chiare ancora prima di ascoltare tutte le voci in tribunale. Quella che segue è una carrellata di testimoni del processo ai 25, che si incrocia con i tragici fatti di piazza Alimonda, archiviati e senza un processo. Nonostante i pm abbiano cercato di circoscrivere gli eventi al comportamento dei soli manifestanti, le centinaia di udienze hanno permesso invece di scoprire parecchi lati nascosti di quelle giornate: in modo particolare la preparazione e l'atteggiamento delle forze dell'ordine per le strade di Genova.
Il Tenente e Sun Tzu
«Nei giorni del G8 ero effettivo come tenente nel XII Battaglione Sicilia. Per il G8 si costituì il Ccir, Compagnia di contenimento e intervento risolutivo. Sembra un parolone ma non era altro che una compagnia che usava i nuovi equipaggiamenti per l'ordine pubblico». Il tenente Mirante è nei punti nevralgici del G8: via Tolemaide, via Caffa, piazza Alimonda. Avvezzo a situazioni drammatiche, ricorda che sembrava di essere «nelle retrovie della prima guerra mondiale, poiché la guerra è come l'ordine pubblico». Cita Sun Tzu e De Gaulle, ma poi, quando si tratta di piazza Alimonda, la sua memoria e la sua arte oratoria si spengono. Ha visto tanti morti, lui. Il corpo di Carlo Giuliani e la possibilità che sia stato colpito da una pietra, già morto a terra, o ucciso dalla retromarcia del Defender, non lo tocca: «Ho visto tanti corpi colpiti da investimento: il corpo può rimanere integro ed essere stato investito. Non si può stabilire perché era morto, addirittura in alcuni processi l'avvocato cerca di dimostrare che uno è morto per infarto prima che per investimento».
Maestri di guerra
Benché Mirante minimizzi, la formazione di reparti speciali dei carabinieri ad hoc per Genova è un chiaro segnale di come le forze dell'ordine si siano preparate all'evento. Il curriculum dei capi di queste formazioni è di tutto rispetto. A Genova comandava, direttamente dalla zona Fiera, il generale Leso. Fondatore e capo in Bosnia e Kosovo delle Msu, Multinational Specialized Unit, la polizia internazionale finanziata dalla Nato, era anche a capo della seconda brigata mobile dell'arma, con lo scopo di addestrare e coordinare i reparti in missione di guerra. Tra i suoi uomini, parà Tuscania, teste di cuoio dei Gis e Ros. Con Leso ci sono Cappello, oggi maggiore, e Truglio: nel 1994 sono tutti insieme in Somalia e vengono citati nel memoriale Aloi fra «gli autori o persone informate delle violenze perpetrate contro la popolazione somala». L'inchiesta fu archiviata. Cappello, dopo Genova, viene mandato a comandare l'unità militare a Nassiriya (si salvò dalla strage perché in bagno) e ad addestrare la nuova polizia irachena (pare grazie ai video del G8). A Genova c'erano i capi delle missioni italiane all'estero, ma tutto questo per i pm non ha contato. Ha contato invece l'assalto mediatico del funzionario di polizia che accompagnava i militari italiani, Adriano Lauro.
Il dirigente e i sassi
Adriano Lauro era il responsabile dell'ordine pubblico in piazza Alimonda, oggi dirige il commissariato romano dell'Esquilino. E' lui a conquistarsi la scena in piazza Alimonda quando, rincorrendo un manifestante, gli urla «bastardo, l'hai ucciso tu con il tuo sasso». E i sassi, nelle sue deposizioni in aula, appaiono e scompaiono al fianco del corpo di Carlo Giuliani, e tra le sue mani. Il dirigente infatti è beccato a lanciare sassi ai manifestanti e sarà richiamato in aula a riconoscere quello che appare insanguinato accanto al corpo di Carlo (con la ferita a stella sulla fronte), salvo poi scomparire di nuovo. E ricorda gli attimi immediatamente successivi: «Si avvicina un poliziotto e mi dice che c'è un giornalista che ha raccolto un bossolo. Io dico "come un bossolo? Fammelo vedere". L'ho preso e ho chiesto dove l'ha trovato. "Vicino al cadavere", mi risponde. Ho avuto un'altra mazzata psicologica e ho pensato che non fosse stato un sasso. Avevo ancora dei dubbi. Penso di aver richiamato Massucci e di avergli detto "mi sa che non era un sasso, potrebbe essere stato un colpo, gli ho detto"».
Gaggiano e gli imbuti
La madre di tutti i disastri genovesi, prima dell'omicidio di Carlo Giuliani, è però la carica al corteo autorizzato di via Tolemaide. I carabinieri, per i pm, non sono responsabili di niente, d'altronde «è stato scelto dai manifestanti di scendere giù, ovvero non sono state le forze dell'ordine a far passare il corteo in via Tolemaide per poterlo aggredire», ha specificato Canciani in udienza. Angelo Gaggiano si presenta sul banco dei testimoni a Genova, dopo aver rilasciato dichiarazioni alla stampa nelle quali si era preso ogni responsabilità per la carica. Immagini e audio dimostrano il contrario. La deposizione di Gaggiano, goffa e macchiettistica, colma di dimenticanze e confusione, sfuma sulle sue comunicazioni radio, preannunciate dal grido che giunge dal centro di controllo della polizia: «No! Porco Giuda, hanno caricato le tute bianche!». Gaggiano spende minuti concitati a chiedere ai carabinieri di rientrare, di ritirarsi per lasciare il corteo. Parla di «imbuti», «qui non ci muoviamo più», continua a ripeterlo via radio, ma in udienza omette molto. L'attendibilità della testimonianza di Gaggiano, oggi in pensione, viene infine minata da un sordido retroscena: una condanna per ricettazione di mobili rubati, insieme a un magistrato.
Le spranghe di ordinanza
Il capitano Antonio Bruno è a capo dei carabinieri che, accompagnati dal funzionario di polizia Mondelli, caricano il corteo delle tute bianche. La sua deposizione, coadiuvata da immagini e fotografie, dimostra due cose. In primo luogo che la carica fu arbitraria e ingiustificata: i carabinieri partono all'attacco del corteo senza aver subito quel lancio di oggetti, come ha sostenuto in aula il funzionario ps Mondelli; si girano prima a sinistra caricando fotografi e giornalisti (si sente uno di loro urlare «aò so della Rai»), poi a destra, imboccando via Tolemaide e affrontando con grande veemenza gli scudi di plexiglass delle tute bianche. In secondo luogo le immagini hanno permesso di chiarire che, durante la carica, i carabinieri anziché usare i tonfa di ordinanza fecero uso di mazze di ferro. Nel novembre 2004 le udienze su via Tolemaide e la caccia all'uomo delle forze dell'ordine non sembravano più in dubbio per nessuno, così come le reticenze di molti testimoni. Tranne per i pm.
Gli esperti di ordine pubblico
A sorreggere l'ipotesi difensiva - forze dell'ordine in bambola, impreparate e in mano ai picchiatori - è giunta a Genova anche la professoressa Donatella Della Porta, esperta di ordine pubblico e movimenti. Una presenza sgradita ai pm, tanto che Canciani ha minimizzato: «La consulenza tecnica della difesa era un'attività che poteva fare chiunque». Della Porta inquadra il problema: i reparti dovrebbero caricare solo quando sono messi a repentaglio «gli stessi manifestanti». Invece a Genova l'intervento coercitivo ha avuto la meglio, con l'utilizzo di «strumenti che gli stessi funzionari di polizia avevano considerato nelle nostre interviste come pericolosi per una escalation: i lacrimogeni e l'uso dei blindati come strumenti di carica, una cosa che si vedeva negli anni '60 e che aveva fatto morti nei '70».
1 - continua