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«Facciamo dei prigionieri»
Sara Menafra
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
15 luglio 2007

Camionette che si buttano in velocità sulla folla, dirigenti di Ps che lanciano sassi contro i manifestanti, militari che picchiano con spranghe di ferro tirate fuori da chissà dove. Spari, in aria, oltre che contro Carlo Giuliani.
La gestione dell'ordine pubblico a Genova, e in particolare quello della giornata del 20 luglio, è stato un lungo elenco di errori. Alcuni assurdi e ingiusti, altri incomprensibilmente dolosi. Gli attivisti della Segreteria del Genoa Legal Forum, passano da anni i loro pomeriggi nella sede di via san Luca, ripercorrendo le immagini istante per istante, verbale per verbale. Il video che hanno appena prodotto, Op-Genova2001, basato soprattutto sulle immagini usate per difendere venticinque manifestanti accusati a vario titolo di devastazione e saccheggio, parte la mattina del 20 luglio e si interrompe mezz'ora prima della morte di Carlo Giuliani. Si occupa solo di quel che accadde attorno a via Tolemaide e in piazza Manin. Ma basta a spiegare che cosa non ha funzionato.

«Fate degli arresti»
Sono le 11 di mattina quando le prime azioni del «blocco nero» toccano il confine tra il resto della città e la zona gialla, in particolare nella zona nord della città. Prima le adiacenze del carcere di Marassi e poi piazza Manin, dove sono riuniti dalla mattina i pacifisti della Rete Lilliput. A est della città, nello stadio Carlini, il corteo delle tute bianche si sta preparando a partire.
E'ora, alle due del pomeriggio, che chi gestisce l'ordine pubblico fa il primo gesto inspiegabile che tirerà giù le poche regole fissate per la giornata. A due dirigenti di ps a disposizione della questura viene ordinato di raggiungere la zona a nord della città. Il primo è Mario Mondelli, all'epoca dirigente di polizia a Cuneo aggregato a Genova che insieme al capitano dei carabinieri di Carrara a Antonio Bruno è al comando della Compagnia CCIR Alfa del III Battaglione Lombardia. Nessuno ha mai spiegato quello che l'audio di «Op» ripete con chiarezza: a Mondelli e Bruno viene consigliato di dirigersi verso il nord della città facendo una deviazione che li obbligherà a tagliare il corteo delle tute bianche in via Tolemaide.
Anche il dirigente Salvatore Pagliazzo Bonanno, con i reparti Mobili di Firenze e Bologna, viene spedito a piazza Manin. Ci va per inseguire i black bloc, ma finirà per lanciare la carica contro pacifisti dalle mani alzate dipinte di bianco. Alla fine i feriti saranno sessanta, due gli arrestati recentemente prosciolti da ogni accusa. Gli agenti che li hanno fermati sono ora sotto processo per calunnia.
Radio: operativo. Pagliazzo Bonanno: Confermo sono stati sparati anche lacrimogeni. R: Attenzione, cerchiamo di fare dei fermati cerchiamo di portare via delle persone, cerchiamo di fare dei prigionieri. Avanzate e fate dei fermati, ripeto avanzate e fate dei fermati, date ricevuto. P-B: Ricevuto. Sono tutti qua con le mani alzate. I manifestanti quelli facinorosi si sono allontanatati purtroppo. R: I feriti sono nostri? P-B: No sono dei dimostranti.

Tolemaide, strana sosta
Il convoglio guidato da Mondelli e Bruno arriva a Corso Torino poco prima che la testa del corteo delle tute bianche giunga a quello stesso incrocio. Potrebbe proseguire nel sottopasso della ferrovia. E invece, di nuovo con un gesto la cui logica non è mai stata chiarita, i mezzi si fermano e si preparano a lanciare lacrimogeni. Le immagini di «Op» contrappongono la deposizione in aula di Mondelli e Bruno a fotogrammi in cui il corteo delle tute bianche è fermo dietro una testuggine di plexiglass. In aula Mondelli dice: «C'erano diverse centinaia di dimostranti che lanciarono oggetti nei confronti del reparto». Ma, di questa sassaiola, nelle immagini acquisite dagli archivi Rai non c'è traccia. Eppure l'inseguimento parte. Prima a sinistra, lasciando sulla strada i giornalisti che avanzavano davanti alla testa del corteo e persino l'operatore che fino a quel momento ha girato le immagini e la cui voce arriva a telecamera già a terra: «Aho!! So' d'a Rai! So' d'a Rai! Aho!!!».
Quindi i carabinieri tornano indietro e lanciano la carica contro l'altra metà di via Tolemaide, dove c'è la testa e la gran parte del corteo. Angelo Gaggiano, il dirigente di polizia che aspetta l'arrivo del corte in piazza delle Americhe assiste da lontano alle cariche dei Carabinieri. L'audio delle conversazioni radio mostra il suo disappunto.
G: «In fondo a via Tolemaide chi ha mandato i Carabinieri? Questi gia fanno come vogliono. Dobbiamo togliere i carabinieri dal fondo di via Tolemaide». Gaggiano ripete l'«operativo» più volte, inutilmente. Finché dalla radio rispondono: «Dottore deve andare a contattarli direttamente, il nostro comando non riesce a comunicare niente con il loro».

Non solo tonfa
In aula sarà il capitano Bruno a spiegare che i carabinieri non usavano solo i «tonfa», i super manganelli in dotazione al battaglione. «Uno orizzontale, l'altro è un bastone che non è in dotazione all'arma dei carabinieri». Le immagini di «Op» mostrano chiaramente che durante le cariche, al posto dei manganelli parecchi dei carabinieri hanno spranghe di ferro: «Io posso solamente dire che il reparto è tutto equipaggiato con il tonfa - dice Bruno - O hanno portato degli oggetti non autorizzati per conto proprio o nella mischia hanno perso o comunque hanno utilizzato altri oggetti per l'azione».
Negli stessi momenti un plotone del convoglio di via Tolemaide svolta in via Casaregis e si lancia a folle velocità contro i manifestanti. In aula l'allora responsabile della Digos Spartaco Mortola negherà tutto: «Si è parlato, e i fatti hanno dimostrato, che erano stati approntati dei blindati muniti di griglie ma non certo per caricare. E' un crimine, scusi, caricare con i blindati».
Sono le cinque del pomeriggio, mezz'ora prima della morte di Carlo Giuliani quando un pezzo del battaglione Sicilia arriva in piazza Alimonda. A bordo di una delle due camionette dei carabinieri c'è Mario Placanica, il carabiniere che aprirà il fuoco sul ragazzo. Adriano Lauro, funzionario di polizia, scende dal mezzo, organizza la carica. Poi si piega a raccogliere un sasso e lo lancia verso il corteo. E' la sua deposizione in aula quella che argomenta l'inspiegabile: «Non ho visto agenti lanciare sassi, ma non ho detto che non li hanno lanciati. Sì vedo quel poliziotto col casco blu che si piega...Ero io».
(Ha collaborato Giacomo Russo Spena)