Quando si risente «Genova libera» scandito come davanti alla Diaz nella notte dell'assalto mentre la gente uscita in barella o come a un anno di distanza quando il movimento era tornato a gridare in via XX settembre avvinghiati uno all'altro (in caso di cariche), quando «Genova libera» lo senti davanti alla Questura con una manifestazione semi-organizzata fuggita al rituale di piazza Alimonda, vuol dire che qualche svolta nella giornata c'è stata.
Se le contraddizioni si giocano anche nei simboli e nella scelta dei luoghi, allora ieri tutto parte nella tarda mattinata con Luca Casarini, il leader delle tute bianche di allora, che entra a Palazzo Ducale a passo accelerato insieme a un centinaio dei centri sociali del nord-est abbraccia Don Andrea Gallo e si concedono insieme alle telecamere. Dietro lo striscione: «Governo Prodi vergogna - De Gennaro macellaio». «Genova ci parla del presente e del futuro non del passato. La memoria non è una cosa statica - grida Casarini al megafono - siamo qui per dire venite tutti a Vicenza a settembre». Poi attacca il muro compatto contro le indagini e i processi sul G8, quella che chiama «una copertura bipartisan» e denuncia la promozione di De Gennaro. A piazza Alimonda di Casarini arriverà solo lo striscione, lui non lo vede nessuno.
Poche ore dopo Palazzo Ducale, parte un corteo organizzato dal Comitato Piazza Carlo Giuliani dallo stadio Carlini, sei anni fa la roccaforte delle Tute bianche e soprattutto il punto di partenza di quel corteo autorizzato e poi caricato violentemente in via Tolemaide. Sono solo centocinquanta. Centri sociali zero. Dietro il camion prestato dalla Compagnia unica dei portuali, Heidi Giuliani, senatrice di Rifondazione, il parlamentare europeo di Rifondazione Vittorio Angoletto, il deputato Francesco Caruso (sempre Rifondazione) e il capogruppo di Rifondazione alla Camera Gennaro Migliore. Ad aprire il corteo «Strage di stato rapido 904, 23-12-84», uno dei tanti sugli eccidi dal '47 a oggi. Il sound system fa fatica a caricare gli animi. La canicola fa il resto.
A piazza Alimonda però di gente ce n'è eccome. Tanti genovesi che erano al G8, facce nuove di ragazzini quindicenni che lasciato il motorino vengono a vedere com'e. Si rivedono sindacati, associazioni, partiti, centri sociali.
Gli amici di Carlo si stendono a terra sullo striscione di quest'anno: «Indignazione». Se la prendono anche con quelli de La 7 che hanno montato un palco che non finisce più, alto tre metri da terra. «Un po' di ritegno - grida uno di quelli che sei anni fa ha passato un paio di notti bivaccando per non far lavare il sangue di Carlo - Qui è morta una persona». Quelli niente, sono di un service. Poi Giuliano Giuliani chiarisce a tutti: «Ho dato io l'autorizzazione. E' il punto da cui si guarda la piazza e quel che è successo». Così alle 17 da tre metri d'altezza si vedono Giuliani padre, accanto a Don Gallo e un avvocato, dare le spalle alla piazza perché dalla diretta si veda la piazza medesima. Qualche spirito birbante pare riesca a manomettere il microfono per pochi secondi. Heidi sul palco non ci sale.
Dove si fermò il Defender Cisco intanto canta «rimani acceso scintillante come un diamante nel carbone» ma qualcosa non decolla. Neppure il minuto di silenzio è stato un minuto, pochi secondi e via, poi un grande applauso alle parole di Haidi che riabbraccia la piazza: «Noi non vogliamo fare silenzio. Noi donne quando partoriamo un figlio non lo facciamo per la guerra, per la violenza fascista».
A un certo punto i centri sociali organizzano una protesta alla Questura. Heidi la annuncia dal palco. Giuliano s'incazza. Qualche centinaio partono con Caruso in un corteo aperto dalla Digos con lo striscione «De Gennaro ha amato i manganelli. Piazza Alimonda e via Tolemaide: non dimentichiamo!». Arrivati davanti alla Questura bloccano l'incrocio per un'assemblea autorganizzata. Caruso grida ai genovesi «siamo venuti a raccontarvi la verità sulla Diaz e Bolzaneto». Intanto qualcuno attacchina le foto del ragazzo di Ostia, 16 anni, pestato dal vice della Digos di allora Alessandro Perugini proprio lì davanti alla Questura. Una piccola delegazione femminile simbolicamente porta lo striscione proprio davanti all'entrata. Accanto c'è anche il questore Pesenti, venuto a salutare Caruso che chiede scusa ma «ho da fare» e grida «riprendiamoci questa città», mentre tutti scandiscono «Genova libera».