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Caro Carlo, Caro Edo, anche allo stadio siete con noi
Il sangue, l'odore del gas, la paura, il sentore del mare si mischiano in un'unica città. La partita Genoa Napoli di un mese fa: entrambe le squadre miracolosamente in serie Ala città felice, i tifosi insieme a piazza Alimonda
Boris Sollazzo
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)
15 luglio 2007

Caro Carlo, Caro Edo
avreste dovuto esserci. Non sapete cosa vi siete persi. "GenoaeNapoli! GenoaeNapoli!". Era un coro ininterrotto, gioioso. Potrebbe ricordarci quel maledetto 2001, quei giorni, prima a Napoli e poi a Genova, in cui strapparono alla nostra generazione, già precaria, quel po' d'innocenza che c'era rimasta. Il 20 luglio, Carlo, ti hanno ucciso. Il 2 febbraio seguente ti ha seguito il tuo migliore amico, Edoardo Parodi, dopo un'altra manifestazione, a Zurigo. Ci hanno detto che sono stati due incidenti. Un proiettile che rimbalza su un sasso, un malore di un ventiduenne in salute. Noi, che abbiamo lottato insieme a voi, accanto a voi, non riusciamo a non pensare che siano state due esecuzioni. Un proiettile e un fumogeno di chi ottusamente difende il sistema. Siete stati vicini in vita, ora lo siete persino a Piazza Alimonda, a Piazza Carlo Giuliani. Giocavate sempre a pallone insieme, tu Carlo, romanista, e tu Edo, genoano. Un tifoso vero, uno della gradinata nord, uno di quelli che non si dimenticano. E' per questo, ragazzi, che voglio raccontarvi cos'è successo un mese fa, il 10 giugno. Intanto, Edo, ho conosciuto i tuoi genitori e tuo fratello (tua mamma, la straordinaria Haidi, Carlo, l'ho conosciuta anni fa): Sandro, Pia, Andrea. Non me ne volere, per un giorno mi hanno adottato. Il 10 giugno appunto. Sono un tifoso del Napoli, e ci giocavamo la promozione in A proprio con il tuo Genoa. Non ho resistito e, nonostante i ricordi di quel 2001, ho deciso di tornare a Genova. Avevo paura, non ve lo nascondo. Ero lì grazie alla piccola Francesca, un'amica speciale che vi piacerebbe, e alla famiglia Parodi che ci aveva trovato i biglietti. La città era vestita a festa, anche se probabilmente una sola squadra ce l'avrebbe fatta. Non essere impaziente, Edo, presto saprai com'è andata. Ti dico solo che Carlo, calcisticamente, la smetterà di prenderti in giro. Genoani e napoletani, lo sapete, hanno un antico e saldo gemellaggio, forse cementato dalla reciproca sfortuna. I tifosi, da non crederci, si sono abbracciati prima, durante e dopo la partita, fuori e dentro lo stadio. Il calcio che piace a noi, quello che non vediamo più da tempo, quello che giocavamo in strada. Da 12 anni i tuoi rossoblu non rivedevano la massima serie. Da sei gli azzurri. E ora questo scontro fratricida. Bene, qualcuno ci ha messo una pezza: due improbabili pareggi, a Marassi (pardon, Ferraris) e a Piacenza, hanno fatto il miracolo sportivo e in serie A ci siamo andati insieme. Ed è quello che è successo dopo che voglio raccontarvi. La città è impazzita di gioia. Abbiamo invaso il campo e tanti, direi anche tutti, si dirigevano verso quella targa in gradinata Nord, quella dedicata a te. «Il pugno chiuso verso il cielo- recita- un urlo di dolore, un compagno che rimane dentro il cuore, ciao Edo. I compagni rossoblu». E noi ti salutavamo con il pugno chiuso e così festeggiavamo con te. Mentre, sì lo ammetto, saccheggiavamo campo e porte alla ricerca di souvenir. Era strano quello che succedeva. Genova, dal 2001, non era più stata felice. Così felice. Siamo usciti dallo stadio e si è formato un corteo. Enorme, spontaneo, in cui le bandiere e i tifosi di tutte e due le squadre si abbracciavano e si baciavano. Era un carnevale senza carri, liberatorio. Una festa continua, ma in fondo tranquilla. Forse non credevamo ai nostri occhi, chissà. E camminavamo, tanto, come in quei giorni di luglio caro Carlo, come è successo sicuramente a Zurigo, Edo. Con i tuoi genitori, con tuo fratello, ci siamo insegnati cori, scambiati ricordi e condiviso la nostra felicità. Era tanta. Persino troppa, anche se voi due sapete bene quanto possa essere forte una fede calcistica. In quei chilometri a piedi ho capito che io, voi due, un'intera città e un pezzo della nostra generazione precaria e arrabbiata, si stava riprendendo la città. Genova era di nuovo nostra, ce l'avevano strappata. Lo vedevo nelle nostre facce. Lo sentivo dentro, e anche fuori. Già, perché proprio Pia, donna straordinaria, mi ha detto «stanno, stiamo andando a Piazza Alimonda». Lo facevano, lo facevamo senza nessuna volontà irriverente. Era quella la tappa finale, naturale, di questa domenica pazza. Era inevitabile. Lo era anche, forse, che fosse il "nostro" calcio lo strumento di riconciliazione dallo stupro che avevamo subito. Come generazione, come città, come paese, come uomini liberi. Ed era giusto che si riunissero Genova e Napoli, che in quel 2001 furono ferite a morte. La nostra era una processione laica, era una manifestazione, in cui camminavate con noi e vi cercavamo continuamente. Saliremo sempre a Genova, per i giorni in cui ricordiamo Carlo Giuliani, ogni anno. E ogni anno chiuderemo con il torneo di calcio, in cui vi vorremmo come capitani. Continueremo a cercare giustizia per lui e per te, Edoardo Parodi, anche se fanno di tutto, guarda un po', per nasconderla. Noi che eravamo là con le bandiere, bambini stupidotti ebbri di gioia, continueremo a lottare per smentire tutte quelle voci idiote che usano per infangarvi. Ma ho l'impressione che il 10 giugno scorso, nel momento più imprevedibile, sia cambiato qualcosa. Proprio da uno sport diventato sempre più fascista, il calcio, è arrivata una giornata come questa. Per carità non mi illudo: vi dico solo che il nuovo capo della polizia è il vice di De Gennaro, e il suo nome non potrebbe essere più eloquente: Manganelli. Ma è anche vero che comincia a uscir fuori la verità: una donna è stata rimborsata dallo Stato per le lesioni subite al G8, un alto funzionario di polizia ha rivelato che la Diaz era una "macelleria", hanno trovato intercettazioni di una poliziotta che urlavano entusiasta "uno a zero per noi!", commentando quello che era successo a Carlo. Non sarà una partita di calcio a cambiare qualcosa, ma ora, Carlo ed Edo, forse la palla è di nuovo al centro. Dovevate esserci, maledizione, ma vi hanno strappato anche questa gioia.



Documenti allegati
Settimanale di Liberazione sul G8
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Note:

Carlo Giuliani aveva 23 anni
Carlo Giuliani aveva 23 anni. Partecipò alle manifestazioni no-global contro il G8 di Genova 2001 e si trovò coinvolto negli scontri di Via Tolemaide. Alle 17.27, a piazza Alimonda, dall'interno di un Land Rover Defender partono due colpi, uno lo colpisce in pieno viso e lo uccide. Sarà incolpato il carabiniere Mario Placanica, più giovane di lui. Il caso sarà archiviato per legittima difesa. Un processo non si è mai fatto. Il Comitato Piazza Carlo Giuliani (http://www.piazzacarlogiuliani.org), nella sua ricostruzione, racconta che Carlo prese un estintore perché il militare aveva spianato la pistola ad altezza d'uomo, e quindi voleva fermarlo. Da questo momento cominciano calunnie, depistaggi, indagini lacunose e superficiali. Haidi Gaggio, madre di Carlo, si batte da anni per una commissione d'inchiesta, mai ottenuta da alcun governo, nonostante in questi anni si siano rese palesi le responsabilità di tutta la catena di comando delle forze dell'ordine. Non quelle politiche, purtroppo. Ora, subentrata a Gigi Malabarba che si è dimesso per lasciarle il posto, continua questa lotta sui banchi del senato, con il Prc.

Edoardo Parodi era il migliore amico di Carlo Giuliani
Edoardo Parodi era il migliore amico di Carlo Giuliani. Si conoscono al liceo scientifico e condividono molto, dal calcio alla politica. Quando Carlo morirà, Edo non riuscirà a staccarsi da Piazza Alimonda. Scriverà a Piazza Manin, il luogo d'incontro della loro comitiva: «Un amico, un fratello, ciao Carlo». Il 2 febbraio del 2002 Edoardo parte per Zurigo. Vuole manifestare contro il Wto e poi andare a Como a seguire il suo Genoa. Durante la manifestazione la polizia elvetica interviene contro chi contesta il Forum, come a Goteborg, Nizza, Genova, con violente cariche e un mare di fumogeni. Dopo la giornata di protesta Edo va a Lugano, dove si ferma a dormire da un amico, Mattia Vassalli, a cui confida di sentirsi stanco e di non riuscire a respirare bene. Proprio lui lo trova, il mattino dopo, steso nel letto con il cuscino intriso del sangue uscito dal naso e da un orecchio. E' miocardite. Diranno di tutto, per "dargli" la colpa: aneurisma, evento traumatico (ma non si scontrò con nessuno), overdose (lui che un buco non ha mai neanche pensato di farselo). Il corpo, cremato, non è stato sottoposto ad autopsia. I maggiori sospettati della sua morte? I lacrimogeni del tipo Cs, che contengono ortoclorobenzalmalononitrile, una sostanza cristallina che si trasforma in gas urticante per la pelle e le mucose, usati dalle forze dell'ordine. Per informazioni: http://www.arciguatelli.com