Ci sono libri scritti con gli occhi del lettore. E si leggono con le parole della memoria collettiva. Succede con «Cosa cambia» (Marsilio, pagine 188, euro 16), il romanzo che il veneziano Roberto Ferrucci dedica a Genova 2001. Andata e ritorno, più volte, con tutto quello che serve per non dimenticare: taccuini d'appunti, powerbook, piantine, palmare. Un viaggio che ruota inesorabilmente intorno ai ricordi che bruciano sempre l'anima. Pagine urticanti come la pelle nelle giornate fra lo stadio Carlini, piazza Alimonda e la scuola Diaz. Un «romanzo d'informazione» che mette in riga le immagini di una videocamera accesa sotto il sole di luglio, dentro e fuori la zona rossa. Un nuovo capitolo di docufiction (dopo «Gomorra» di Roberto Saviano)che quasi sommessamente non archivia la realtà in grado di superare ogni immaginazione. Un libro che ci guarda dentro: accende i ricordi di chi c'era; non spegne l'indignazione di chi ha visto Genova 2001 da lontano; dentro l'eterno replay di quelle giornate, non chiude mai gli occhi davanti a qualcosa che brucia dentro.
Ferrucci era andato a Genova, da quarantenne un po' giornalista un po' no global. «Per tutti noi è stata uno spartiacque nella nostra percezione del mondo. Allo stesso tempo, però, è stato un esperimento di distruzione delle garanzie personali».
Sei anni dopo, Ferrucci ci fa tornare insieme tutti lì. Con 14 «tessere» dell'identico puzzle ricomposto pazientemente dentro il movimento. C'è la macelleria messicana sulla testa rasta di Magdalena, insieme alla giovane Elisa e al fantasma di Angela. Parole calibrate sulle storie che hanno attraversato Genova fino a uscirne diverse, per sempre diverse.
Si scrive ancora Genova. Si legge tutto d'un fiato PernondimentiCarlo. Si scruta il buco nero dello stato senza più legge. Si patrocina la giusta causa dei 93 inermi della Diaz, dove «duecento agenti hanno fatto politica con la divisa». Grazie a Ferrucci, siamo ancora tutti a Genova. Con la chitarra di De André e le parole di una sua vecchia canzone.