Secondo Chris Busby, esperto scientifico del "Comitato di sorveglianza sugli effetti dell'uranio impoverito" del ministero della Difesa britannico, nei 34 giorni di bombardamento del Libano Israele avrebbe fatto uso persino di mini-bombe nucleari sperimentali, o comunque di bombe atte a penetrare e a distruggere i bunker, nelle quali invece dell'usuale uranio impoverito sarebbe stato impiegato uranio arricchito! L'impatto sulla salute degli abitanti ed anche su quella delle forze militari multinazionali lì dislocate, tralasciando al momento altre considerazioni, si profila devastante.
Siamo ormai a distanza di anni da quando il primo degli oltre 40 militari italiani (accertati dall'Osservatorio militare, perché non esistono dati ufficiali forniti dal ministero della Difesa) è rimasto vittima della cosiddetta "Sindrome dei Balcani", mentre almeno 500 suoi colleghi tra i venti e i quarant'anni di età si sono finora ammalati di tumore e molti stanno via via morendo.
Ma la velocità con cui nuovi micidiali ordigni vengono impiegati nei sempre più vasti scenari di conflitto armato è tale che l'intervento della politica per contrastare le guerre e tutelare la vita e la salute delle popolazioni è terribilmente inadeguato.
La possibilità di far emergere la verità sulla vicenda delle contaminazioni con le polveri tossiche prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, tra cui quello all'uranio impoverito, che ha visto omertà istituzionali bipartisan e boicottaggi sistematici e persino ricatti sugli ammalati e i loro familiari da parte delle gerarchie militari, è in gran parte legata oggi all'iniziativa parlamentare.
Con un voto all'unanimità in sede deliberante, la Commissione Difesa del Senato ha nuovamente istituito una Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, consentendo così di portare a compimento il lavoro iniziato nel corso dell'ultimo anno della precedente legislatura.
La principale novità risiede nella possibilità di indagare non solo sui militari colpiti ma anche «sulle popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale».
Si tratta di un potenziale salto di qualità nel monitoraggio degli effetti delle azioni belliche, che potrebbe avere conseguenze dirompenti sull'uso disinvolto di armamenti micidiali nei conflitti, come dimostrato dal massiccio impiego di armi di sterminio in Iraq e in Afghanistan, ma anche - appunto - nei recenti bombardamenti israeliani in Libano.
La tutela della salute dei militari italiani, infatti, è stato ed è il motore dell'iniziativa parlamentare che, in qualità di segretario della precedente Commissione, mi ha trovato particolarmente favorevole: nei Balcani migliaia di giovani sono stati mandati letteralmente allo sbaraglio, ossia senza protezioni, in un teatro di guerra in cui sono stati sparati dalla Nato numerosi proiettili all'uranio impoverito.
Da anni erano noti i rischi sull'impiego di tali armamenti, ma forse si è voluto tenere irresponsabilmente all'oscuro i militari per non riconoscerne gli effetti devastanti sulle popolazioni civili, che la cosiddetta guerra umanitaria contro la Jugoslavia avrebbe dovuto aiutare...
La Commissione d'inchiesta non è stata in condizione di definire un preciso nesso di causalità tra uranio impoverito e insorgenza di patologie sia per lo scarso tempo a disposizione sia per il continuo depistaggio dei vertici militari e del ministero della Difesa, che ha impedito la raccolta di dati statistici per una corretta analisi epidemiologica.
Quel che appare certo è che «la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dall'esplosione di materiale bellico» queste malattie e questi decessi li provoca.
La nuova iniziativa parlamentare può favorire la nascita di un centro di eccellenza tra l'Università di Modena e l'Ospedale militare di Padova, da cui passano gran parte dei militari in missione, per sviluppare un lavoro serio: i militari colpiti e i loro familiari, le popolazioni civili che vivono attorno ai poligoni di tiro, in particolare in Sardegna, e tante vittime nei teatri di guerra aspettano con ansia che la politica cominci a porre rimedio a questo dramma.
Lo stanziamento da parte del governo dell'Unione di 300mila euro a sostegno del fallito progetto "Signum", istituito dal ministro della Difesa Antonio Martino proprio per gettare fumo negli occhi ed evitare indagini più serie (oltreché per favorire il proprio giro di amici), non va certo nella direzione auspicata.
Al contrario, la conferenza realizzata domenica a Modena, "Danni collaterali: le conseguenze che contribuiscono a rendere la guerra ancor più intollerabile", con il patrocinio del Comune e dell'Accademia militare e a cui hanno partecipato parlamentari, esponenti di governo ed esperti che già avevano preso parte all'attività della passata Commissione d'inchiesta, costituisce uno stimolo importante per una buona ripartenza.
Gigi Malabarba