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Regole di ingaggio per i generali, ma anche per i caporali
Falco Accame
Fonte: Liberazione, 24 agosto 2006
24 agosto 2006

Il caporale a stelle e strisce Lozano, quello del ckeckpoint all'aeroporto di Baghdad, ora se ne sta nascosto in un'sola del Pacifico inseguito da un mandato di cattura per l'uccisione del dottor Calipari.

Lozano sostiene di aver sparato per fermare l'automezzo essendosi attenuto rigidamente alle regole di ingaggio emanate dal superiore al comando. Di queste regole, forse errate o incautamente ambigue, e delle responsabilità relative, nessuno minimamente sembra preoccuparsi: il grilletto lo ha premuto il caporale ed è questo che conta.

Ciò che può succedere in una simile condizione noi lo sappiamo bene se non altro per via di quel checkpoint "Pasta" nei pressi di Mogadiscio, che ci causò tante conseguenze negative. E sappiamo bene che chi sta al checkpoint raramente ha il tempo di discutere sul da farsi con il comando da cui dipende. Molte regole di ingaggio sono a livello di alti comandi, a livello di "generali": del tipo «si può sparare quando la situazione ostacola il mantenimento della pace». Ma a livello di "caporali" questo non basta: chi glielo spiega al caporale che la situazione, quella che egli incontra al momento, ostacola la missione di pace?

Non bisogna dimenticare che il problema riguarda anche l'"interpretazione" delle regole di ingaggio. Come il filosofo che diceva «non ci sono fatti: ci sono solo interpretazioni dei fatti», potremmo sostenere che «non ci sono regole ma solo interpretazioni di regole». E tali regole possono anche essere affette da componenti ideologiche e non solo da ambiguità ed errori. Quanto al caporale che si trova al checkpoint egli deve sapere, ad esempio, se caricare l'arma e se sparare in aria o ad altezza d'uomo.

Se sta arrivando un camion sospetto (o perfino un'ambulanza sospetta) che faccio? Sparo al conducente? E se arriva sul posto un elicottero da combattimento intenzionato a bloccare il camion, lancio un razzo antiaereo? E se sbaglio chi paga? (A proposito di ambulanze sospette, è proprio quello che ci è capitato, non molto tempo fa, nella "battaglia dei ponti" a Nassiriya. Ma un conto è se questo accade in quella lontana Tule che è Nassiriya a riflettori spenti e giornalisti embedded - nel senso d: "bendati" - un conto se ciò accade nel teatro a luci ben accese tra Israele e Libano).

Ma il caporale deve anche sapere come muoversi in sicurezza. Ad esempio: se con i mezzi (terrestri o aerei) blindati o meno e magari se può usare lo "Scarafone". O se deve aspettare l'arrivo del centauro con il suo cannone da 105. Più in generale bisogna stabilire se i vari componenti del nostro arsenale bellico come i Dardo, i Puma, i Mangusta debbano essere inviati sul luogo o meno (per inciso: comunque per le fabbriche di armi si apre un nuovo orizzonte). In Iraq pensando di essere accolti molto cordialmente, avevamo inviato mezzi di trasporto di terra e di aria non protetti: ne abbiamo pagato serie conseguenze. Quegli elicotteristi che, pienamente a ragione, avevano segnalato che gli elicotteri erano insufficentemente protetti, furono denunciati al tribunale militare per codardia. Solo quando tornò in Italia "con i piedi in avanti" il compianto maresciallo Cola, inviammo mezzi sufficientemente blindati. E quando scoppiò una mina sotto la pancia di uno "Scarafone" ci rendemmo conto che non aveva sufficienti protezioni dal basso.

Bisogna stare ben attenti a non mandare i nostri militari allo sbaraglio e ai pericoli che possono incontrare e che spesso non sono visibili, come accaduto per l'uranio impoverito. Chi ha effettuato bombardamenti infatti non ci ha ancora detto se ha usato e dove tali armi. E nei riguardi di questi rischi le "regole di ingaggio" richiedono protezioni adeguate. Dobbiamo saperlo in anticipo. Inoltre il Cocer e i Coir dovrebbero essere consultati, circa la sicurezza degli uomini.

Alcune considerazioni finali: vi sono frange dell'opinione pubblica, per fortuna limitate, che sembrano essere maggiormente interessate piuttosto che alla "ricerca della pace" alla "ricerca di un posto di comando". Insomma, più che a un "peace seeking" a un "command seeking". In questo quadro si sono inseriti alcuni mass media televisivi che sembrano più preoccupati di mettere in scena una specie di reality con esibizione di personaggi famosi del set politico internazionale, piuttosto che darci un quadro serio delle difficoltà emerse e una risposta al perché tanti paesi si rifiutino di mandare i loro uomini sul quel teatro.

Si reclamizza un "super comando" situato in mare lontano dai rischi e lontano da dove opera l'"appiedato" che fa la guardia al checkpoint il quale si chiede, tra l'altro: quanto durerà la missione, mesi, anni o un decennio visto che ne sono già passati oltre due dal 1981? Non sarà come per il soldato di Tolstoj che messo alla guardia della panchina appena verniciata in attesa che la vernice seccasse vi si ritrovò dopo una generazione perché nessuno aveva inviato il contrordine?

In sostanza è importante preoccuparsi non solo delle questioni "generali" ma anche delle questioni "caporali". Cioè non dobbiamo interessarci solo di ciò che riguarda la "copertura" di chi impartisce ordini dall'alto ma anche di chi obbedisce al basso livello. Insomma del "Lozano tricolore" che si trova sul terreno. Anche perché in caso sbagli, egli non ha isole dell'oceano per proteggerlo da un mandato di cattura. Le sole isole segrete su cui possiamo contare sono quelle del reality della tv. Ma i nostri protagonisti non corrono gli stessi rischi dei personaggi dell'"Isola dei famosi". Qualcuno può tornare con "i piedi in avanti". E allora non potremo dare la colpa al destino cinico e baro o al fato (come usava fare un recente ministro della difesa).