La voce girava da almeno tre anni ma ora, forse da un cassetto di Palazzo Madama, spunta un rapporto della Direzione generale della Sanità militare, ossia del ministero della Difesa, dice che i morti sono almeno il doppio di quello che si credeva. E che i malati della "sindrome del Golfo", il complesso di patologie derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito, potrebbero essere dieci volte di più dei 312 ufficialmente riconosciuti. La sindrome sta falcidiando le popolazioni civili nei teatri della guerra globale ma noi la conosciamo solo perché uccide i "nostri" ragazzi, spediti in guerra, almeno fino al 2000, senza le necessarie precauzioni nonostante gli effetti delle armi all'uranio impoverito fossero noti da tempo agli alti comandi atlantici. Le prime norme in italiano portano la data maggio 2000 e la firma del comando della Folgore. Già il 22 novembre '99 il comando Kfor, la forza multilaterale dei Balcani, aveva emanato norme a firma di un colonnello Nbc (nucleare, batteriologico, chimico), l'italiano Osvaldo Bizzari. I veterani dell'operazione Ibis, l'omologo italiano della Restore hope degli Usa, ricordano lo stupore nel vedere in azione i robocop statunitensi iperprotetti a 40 gradi mentre i "nostri" ragazzi combattevano in bermuda e maglietta verde.
La lista "nuova" contiene 2500 nomi ma è incompleta. Non solo perché l'ultimo decesso segnato risale al 25 settembre del 2006 ma perché contempla solo uomini dell'Esercito. Spiega Falco Accame, dopo aver spulciato la lista, che mancano all'appello numerosi casi di malattia capitati dopo la cessazione del servizio, non ci sono i casi di personale in servizio nelle missioni somale e chiunque, sebbene militare ma di marina, aeronautica, guardia di finanza e carabinieri. Come sempre mancano dalla lista i civili e gli operatori delle ong. E mancano da ogni statistica militari e civili che abbiano a che fare con i poligoni in cui certi veleni vengono stoccati e sperimentati. Accame, ex ammiraglio, già presidente della commissone DIfesa di Montecitorio, ora presidente di Anavafaf, stima che il numero dei malati - aggiornato al 2009 - potrebbe assestarsi intorno alle 3mila persone. Molti di più delle poche centinaia di casi ammesse dall'allora ministro Parisi di fronte alla commissione presieduta in quella legislatura da Lidia Menapace del Prc. E i morti sono, purtroppo, almeno il doppio dei 77 resi noti a quella commissione.
Lavorando controcorrente - c'era da vincere l'ostruzionismo di Forza Italia e dei piani alti di Via XX Settembre e forse c'entrano qualcosa sulla mancata consegna della lista - ben due commissioni d'inchiesta del Senato hanno provato a indagare. Il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi ha bloccato, finora, tre disegni di legge che chiedono la ricostituzione della commissione. Inutilmente Lidia Menapace chiede di essere audita dalla nuova commissione Difesa per relazionare sul punto d'arrivo della sua inchiesta: che la Sindrome è innanzitutto una malattia professionale. «Se i lavoratori in divisa avessero un sindacato come gli altri cittadini, potrebbe fare una class action», suggerisce Menapace.
Ma qualcosa si muove comunque grazie all'attivismo delle associazioni di vittime e loro familiari. La questione è importante sia per l'accertamento delle responsabilità di ministri e vertici militari nella mancata precauzione, sia per le compensazioni. Solo un mese fa il tribunale di Roma, sulla scia di una sentenza pilota fiorentina, ha condannato il ministero della Difesa a risarcire i familiari di un militare morto per 1,4 milioni.