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Uranio, la Difesa: morti alcuni militari. Menapace: «Solo primi spiragli di verità»
Checchino Antonini
10 ottobre 2007

Decentocinquantacinque malati di tumore e trentasette morti tra i militari italiani all'estero negli ultimi dieci anni. «Per la prima volta il ministero della Difesa dà qualche numero», dice Lidia Menapace, senatrice Prc a capo della commissione di inchiesta sull'uranio impoverito, subito dopo l'audizione del ministro Parisi. «Questo è potuto accadere perché noi cerchiamo cause e non colpe - continua Menapace - e siamo riusciti a dissipare la diffidenza tra il ministero e la commissione. Adesso abbiamo i numeri del ministero e quelli della direzione della sanità militare e poi ci sono i nostri consulenti e gli elenchi delle associazioni. Siamo alle soglie della possibilità di avere un risultato».
Non sarà semplicissimo, però, visto che quei numeri sono molto diversi tra loro. Parisi, infatti, ammette che, nello stesso periodo i militari malati di tumore, ma non impiegati all'estero sono stati 1427 (604 nell'esercito, 45 nella marina, 49 nell'aeronautica e 729 carabinieri). Non esisterebbe alcun «segreto di Stato», ha assicurato Parisi dicendosi, tuttavia, non in grado di verificare quanti «abbiano operato in poligoni di tiro nazionali». Ciò che avrebbe impedito, finora, una «solida base informativa» sarebbero «vari fattori» tra cui la mancanza di un centro specialistico centralizzato che coordinasse all'interno della Difesa lo studio del fenomeno». A ciò si aggiungerebbe la normativa della tutela della privacy che renderebbe «impossibile la pubblicazione di elenchi nominativi». Via XX Settembre, è la promessa, creerà un centro specializzato, presso la Direzione generale di sanità, sulla problematica dei malati malati o morti dopo aver partecipato a missioni internazionali. Per Parisi - che si proclama dispiaciuto per il clima di diffidenza - non se ne sa ancora abbastanza, l'incertezza sulle concatenazioni causa-effetto, circa l'uranio impoverito, regnerebbe sovrana. Il Centro potrebbe ricevere direttive da un comitato scientifico di esperti i cui nomi sono stati chiesti ai ministeri della Salute e della Ricerca. La Finanziaria prevede per questo 10 milioni e un decreto legge del 28 settembre ha assegnato 170 milioni per le cause di servizio che la Difesa vorrebbe più rapide.
Ma i numeri di Parisi «sono inferiori a quelli in possesso dello Stato maggiore della Difesa: 2536 malati e 164 deceduti», avverte Domenico Leggiero dell'Osservatorio militare. «Dati incompleti e al ribasso - riconosce Falco Accame dell'Anavafaf - ma comunque doppi rispetto ai numeri forniti nella scorsa legislatura da un emissario del ministero della Salute. E non si capisce perché si cominci a contare dal 1996».
Dunque le notizie sono due: Via XX Settembre fornisce le prime cifre che la Commissione, presieduta da Lidia Menapace, metterà a raffronto con quelle a sua disposizione. Poi confronterà i criteri seguiti per la compilazione dei dati per capire le cause delle differenze. I lavori della Commissione non sono certo al termine e ieri, durante l'audizione, Menapace ha chiesto conto anche dell'aereo Nato che, a corto di carburante, sganciò nel '98 il suo carico (un missile all'uranio che si sciglie nell'acqua) nel Lago di Garda, come avvenne più volte nell'Adriatico, durante la guerra del Kosovo.
Parisi ha assicurato che farà svolgere un'indagine. La difformità dei dati non impedisce al verde Bulgarelli di cogliere l'importanza dell'audizione di ieri anche sullo spiraglio che sembra aperto sui poligoni militari, pericolosi anche per le popolazioni civili residenti nelle circostanze. Se c'è stato un problema, dal '99, quando sono emersi i primi casi di morti da uranio impoverito in Italia, è stato il muro di gomma alzato a Via XX Settembre a scapito del suo stesso personale e contro le vittime civili. Come a Salto di Quirra, in Sardegna, dove insiste un poligono reso famoso dal numero abnorme di neoplasie e malformazioni. Anche Tana De Zulueta, deputata verde, parla di «cifra preoccupante» e avanza dubbi di completezza.
I calcoli, secondo l'ex ammiraglio Accame, già presidente della commissione Difesa della Camera, dovrebbero iniziare dalla Guerra nel Golfo del '91 che dà il nome alla sindrome da uranio. Il primo dei morti, il maresciallo elicotterista Umberto Pizzamiglio, era stato lì nella prima delle guerre globali. Altra pioggia di uranio impoverito toccherà a chi andrà due anni dopo in Somalia, come il maresciallo Stefano Del Vecchio quando i marines sembravano marziani perché sapevano del pericolo e i "nostri ragazzi" giravano in bermuda del tutto ignari. Nel '94 è la missione in Bosnia, il caporalmaggiore Salvatore Vacca operava a mani nude come i suoi colleghi perché i soldati italiani avrebbero dovuto aspettare il 22 novembre '99 per avere una normativa di protezione che gli alleati Usa avevano dal 14 ottobre '93. Quando si ammalò Marco Mandolini, paracadutista aiutante di battaglia del generale Loi si pensò fosse una malattia tropicale ma era un veterano della Somalia.
Però Parisi inizia il conto dal '96, non terrebbe conto dei soldati di leva, non fa menzione di aree come la Macedonia e l'Albania, dove operarono il caporale Melis e il capitano Grimaldi. E dice che l'Italia non ha armi all'uranio impoverito. «Ma in un poligono del torinese - esemplifica Accame citando interrogazioni di Russo Spena (Prc) e del leghista Ballaman - sono state testate le corazze dei mezzi da combattimento con un lotto di proiettili all'uranio comprati da Israele e stoccati nelle Casermette di Bibbona, nel livornese». L'ultima vittima conosciuta si chiama Luca Giovanni Cimino e maneggiava bossoli all'uranio, a mani nude in un poligono pugliese, a Torre Veneri mentre faceva il servizio di leva. Ora ha un tumore alla mandibola.
Intanto, nel giorno dei numeri, la Campagna "Sbilanciamoci!" denuncia l'aumento di oltre 2 miliardi di euro nel 2008 per le spese militari senza contare i fondi per l'industria militare. Se l'anno scorso le previsioni di spesa per la difesa (finanziaria, bilancio difesa, fondo missioni internazionali, programmi sistemi d'arma) arrivava a 21 miliardi e 364 milioni di euro, stavolta si arriva a oltre 23 miliardi e 800 milioni di spesa. Una montagna di soldi che Sbilanciamoci propone di tagliare del 20% da destinare a cooperazione internazionale, a welfare, alle politiche per l'ambiente.