pubblicato anche su "Libertà" di sabato 26 agosto 2006
25 settembre 2005. Federico Aldrovandi, 18 anni compiuti da poco, trova la morte nel corso di un controllo di polizia.
E' domenica mattina, Federico ha appena trascorso la serata con amici e sta dirigendosi a piedi verso casa. E' incensurato e non ha commesso alcun reato; semplicemente forse non sta bene: nel suo sangue si scopriranno blande tracce di oppiacei e alcol, ma in quantità incompatibili con un malore grave, men che meno con uno che possa condurre alla morte. Probabilmente ha bisogno d'aiuto, ma l'unico "aiuto" che troverà sarà quello di un violentissimo controllo di polizia, al termine del quale giacerà a terra senza vita.
Tutto questo avviene a Ferrara. Città distante meno di due ore da dove sto scrivendo, così vicina e così lontana, perché sembra impossibile che tutto questo possa avvenire accanto a noi. Se pensi a Federico è difficile restare convinti di vivere in un Paese civile dove "chi sbaglia paga"; ancor meno dove "le istituzioni sono a fianco dei cittadini". Gli agenti che hanno avvicinato Federico non assomigliano a quelli immortalati nelle fiction televisive (del resto l'unico poliziotto di una certa fama che ha espresso rammarico per quanto accaduto a Genova nel luglio 2001 fu proprio un personaggio di fantasia, il commissario Montalbano), e le istituzioni per lunghi mesi non sono sembrate interessate alle domande poste dalla famiglia di Federico su cosa è realmente accaduto quella mattina.
Settembre 2005, Ferrara. Ossia presente, Italia. Il Paese dove dal '47 ai nostri giorni sono avvenute decine di uccisioni per mano di elementi delle forze dell'ordine. Vittime pressochè tutte senza giustizia, senza colpevoli. Ma per Federico Aldrovandi, per "Aldro", forse sarà diverso. I 4 agenti coinvolti in quel controllo di polizia ora sono indagati per omicidio preterintenzionale. Verrebbe voglia di pensare che questo sia il segno di una normalità che si riaffaccia nel nostro Paese. Il segno che si può tornare a parlare di "vera" sicurezza: non quella law and order enfatizzata dai media, che ci fa accettare la restrizione dei diritti in suo nome, non quella che crea pericolose sacche d'impunità. Ma questa normalità che timidamente si riaffaccia almeno per il momento non è frutto di una ritrovata trasparenza delle istituzioni. E pure la stampa italiana per lunghi mesi non è stata di nessun aiuto. Nell'immediato ha scritto "sotto dettatura": un ragazzo di 18 anni che muore così non fa notizia, NON DEVE fare notizia. I giornali locali inizialmente parlano di un malore fatale, alludendo ad una overdose. Chiunque abbia visto una foto del cadavere di Federico straziato dai colpi ricevuti non può credere a quella versione, ma sarà proprio quella ad apparire sulla stampa, per lunghi mesi. E, dopo che sui giornali cominciano ad affacciarsi i primi dubbi (vedremo fra poco come e perché), la Procura di Ferrara invia un fax ai quotidiani che seguono il caso, aprendo un fascicolo per diffamazione e offese rivolte alle autorità inquirenti, inchiesta archiviata solo il 27 giugno scorso. Neppure Montalbano è di casa a Ferrara, né in Questura né nelle redazioni né in Procura.
A chi si deve dunque se su Aldro il velo delle menzogne è stato squarciato? Innanzitutto a due donne: Patrizia Moretti (madre di Federico) e Anne Marie Tsegue.
Dopo alcuni mesi da quel 25 settembre, Patrizia fa sentire la propria voce, pone le proprie domande. Apre un blog su internet, e le sue domande fanno il giro d'Italia. Patrizia e Lino, padre di Federico, parlano senza rancore, senza cercare vendette, solo con un grande desiderio di giustizia. Non sono interessati a generalizzazioni contro le intere forze dell'ordine, chiedono solo che chi sa parli, svelano le incongruenze delle versioni ufficiali, chiedono come e perché è morto il loro figlio. Quella della famiglia Aldrovandi è una voce in cui il dolore si unisce ad una grande lucidità, che risveglia anche stampa e TV nazionali. E' da questo momento che si comincia a parlare del "caso Aldrovandi". E' da qui che comincia il percorso che porterà ad indagare sui 4 agenti e che porterà alla famiglia di Federico l'attenzione dovutale anche dalle istituzioni, fino ad arrivare agli incontri con il Presidente della Camera e con il Sottosegretario alla Giustizia.
Anne Marie, la seconda donna cui accennavo, è cittadina camerunense. Il suo permesso di soggiorno scade a settembre. Ha paura delle conseguenze, ma il silenzio le sembra insopportabile. Ha paura, ma sceglie di parlare. Gli italiani no: loro non hanno visto, e se hanno visto non hanno sentito, e comunque "tengono famiglia" e non se la sentono di testimoniare. Anne Marie racconta di un pestaggio in piena regola. La sua testimonianza è fondamentale. Per la famiglia Aldrovandi, certo, ma pure per l'incredibile esempio di senso civico dimostrato.
Ferrara, agosto 2006. Fra pochi giorni, in occasione del primo anniversario della morte di Federico, Ferrara ospiterà una manifestazione nazionale che l'associazione "Verità per Aldro" ha indetto per chiedere giustizia per il passato e garanzie per il futuro. Si terrà il 23 settembre, in quella città che per troppi mesi ha parlato una lingua simile a quella di un Paese dell'America Latina degli anni '70. Abusi di potere, violenze, e poi troppi silenzi da parte di quella società che, nonostante tutto, pretende d'essere chiamata "civile".
Ferrara, Italia, pochi chilometri da qui, vicina a ovunque. Sapremo sentire "nostra" questa vicenda, così vicina e atroce? O ci limiteremo a guardare smarriti da un'altra parte, pensando che queste cose "non dovrebbero succedere" ma comunque "succedono sempre altrove"?