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I genitori di Aldro portano la loro storia a Bertinotti
Ieri l'incontro a Montecitorio col presidente della Camera
Checchino Antonini
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)
1 agosto 2006

Mica se lo sarebbero mai aspettato, solo un anno fa, di trovarsi nell'anticamera del presidente della Camera, Lino, Patrizia e Stefano Aldrovandi. Perdipiù di trovarsi in certe sale solenni di Montecitorio senza un briciolo di soggezione. «Perché quello che è successo a Federico è una cosa grossa, la più enorme che potesse capitarci. Tutto il resto ci sembra così piccolo», spiega Patrizia Moretti, la mamma di un diciottenne ferrarese che tornava a casa a piedi all'alba di una domenica, passando per un parchetto che sfiora il recinto dell'ippodromo. E' il 25 settembre di un anno fa. "Aldro" come lo chiamavano a scuola, incappa in un controllo di polizia misterioso e violento. Così violento che morirà pochi minuti dopo.
Ieri la famiglia Aldrovandi era a Roma, invitata da Fausto Bertinotti, che ha voluto assolutamente trovare tempo per questo incontro per sentire una storia raccontata direttamente da chi ha dovuto imparare in pochi mesi parole che mai avrebbe neppure immaginato per reclamare verità e giustizia. Così in un incontro, molto intenso dal punto di vista umano, Patrizia e Lino hanno ripercorso lo choc di quella domenica mattina che si sono visti arrivare i poliziotti in casa con una notizia tremenda, di Federico morto per un malore. Hanno detto al presidente di come sia sembrata subito inverosimile quella versione visti i segni sul volto e sul corpo di Federico, di come abbiano atteso invano che l'indagine decollasse. Per cento giorni, da soli, avvolti da un silenzio assordante. Finché non hanno deciso di scrivere tutto sul blog, aprendo un laboratorio di democrazia che ha permesso di far esplodere il caso sui giornali, trovare testimoni, smontare le versioni ufficiali ripetutamente rettificate, dare impulso all'inchiesta che, sei mesi dopo, finalmente sembra prendere una piega di normalità con un nuovo pm e l'iscrizione al registro degli indagati dei quattro agenti che misero in atto il "controllo" di polizia. Far sapere la storia al maggior numero di persone, secondo Patrizia, «è già una forma di giustizia».

Girandosi tra le mani due foto di Federico avute in dono, il presidente non può fare a meno di considerare il ruolo delle donne, in vicende dolorose come questa. E allora cita le Madres argentine de la plaza de Mayo, Bertinotti, e parla della mamma di Ilaria Alpi e di quelle di Fausto e Iaio. Poi si rivolge a Stefano, il fratello minore di Federico. Lo esorta ad aver fiducia nel futuro perché c'è molta gente in Italia che lavora per la giustizia.

Patrizia e Lino hanno un'idea piuttosto precisa di come siano andate le cose. Almeno negli ultimi dieci-quindici minuti di Federico. A incontro finito, ripetono ai cronisti quello che ha testimoniato, a metà giugno, una donna camerunense che abitava di fronte al cancello dell'ippodromo: «Ha riferito di quattro agenti che picchiavano fino a rompere due manganelli, fino a quando un operatore del 118 non ha esclamato: "Slegatelo, non vedete che è morto". Non stava commettendo alcun reato, perché tutto questo? Non c'era alcun fermo, lo ha detto proprio la polizia». E a chi le chiede cosa vorrebbe dire ai quattro agenti, Patrizia dice solo: «Che confessino».

Uscendo dallo studio, anche Bertinotti appare commosso. Dirà alla selva di microfoni e telecamere che, naturalmente, non ha alcun titolo per entrare nel merito, che spetta alla magistratura, «che non c'è nessuna possibilità che un'interferenza non sia sbagliata. Ma un'invocazione di verità, così forte, va ascoltata». Lino Aldrovandi, figlio di un carabiniere e a sua volta ispettore della polizia municipale, dirà di aver trovato molta umanità in quei minuti col presidente, di essere stato sicuro di essere ascoltato. Oggi gli Aldrovandi avranno un incontro al ministero di Giustizia.