Nulla di nuovo, all'apparenza, sotto il sole terribile di Ferrara. Nulla di nuovo, almeno a voler considerare solo - e superficialmente - il secondo capitolo dell'incidente probatorio stabilito per il caso Aldrovandi. Ieri pomeriggio, al tribunale di Ferrara è stato ascoltato un ragazzino camerunese, oggi quindicenne, quello che lasciò la cittadina estense proprio all'indomani della morte di Federico. Doveva tornare a Yaoundé per studiare. I due si conoscevano di vista. "Aldro", come lo chiamavano gli amici, era di una compagnia di ragazzi più grandi ma abitava nello stesso quartiere. E quella mattina terribile, il 25 settembre 2005, quando sua madre Annemarie svegliò CT per mostrargli cosa accade a chi giri di notte, neppure lo riconobbe, così, buttato a terra proprio davanti al suo portone. Immobile, inanimato, e immobilizzato, tenuto fermo.
Sua madre, Annemarie Tsagueu, 35 anni, è la testimone chiave, finora, già sentita in sede di incidente probatorio lo scorso 16 giugno, quando disse di aver visto i piedi di un ragazzo con la schiena a terra, tenuto fermo almeno da tre persone, una delle quali donna, e un quarto uomo che andava avanti e indietro. Pum, pum, dava calci, mentre gli altri menavano con «il bastone dei poliziotti». Due di quei manganelli si scassarono dalla parte del manico come se fossero stati impugnati al contrario perché in quel modo fanno più male.
Secondo quanto ripetuto da CT, la donna lo avrebbe svegliato solo a cose fatte, all'arrivo della gazzella dei carabinieri chiamata a rinforzo delle due volanti assieme all'auto del 118. Tutti videro inanimato e ammanettato a faccia in giù il diciottenne che tornava a casa a piedi e senza commettere alcun reato dopo una serata in discoteca con gli amici, a Bologna. La nuova testimonianza, che inizia proprio dall'istante segnalato da Annemarie, confermerebbe dunque l'ipotesi che il corpo martoriato di Federico sia stato trascinato impugnando l'orlo dei jeans, come mostrerebbero alcune foto agli atti, e poi girato per essere ammanettato e non necessariamente in quest'ordine. I due camerunensi abitavano in Via Ippodromo 10B, interno 5.
Nessuna novità, dunque, e il ragazzino camerunense che scivola via dal tribunale, dopo poco più di un'ora, per un'uscita secondaria, con la madre e due uomini della squadra mobile a scortarli e i legali di entrambe le parti che escono dalla porta principale senza aggiungere commenti a un resoconto laconico dell'incidente probatorio; e Lino e Patrizia, padre e madre di Federico, con la faccia di chi ha ripercorso in pochi minuti gli ultimi minuti di vita di un figlio che non stava facendo nulla di male, che aveva bisogno di soccorso e, invece si beccò una gragnuola di manganellate e calci e pugni. Fino a sanguinare. Ma la poliziotta, secondo quanto ricorda Annemarie, avrebbe tranquillizzato i colleghi: «Siamo mica stati noi, è stata la roba». Poi li avrebbe addirittura consigliati di «moderarsi» perché cominciavano ad accendersi le luci delle finestre intorno. Questo si legge nel verbale della sua deposizione, reso noto alla vigilia della deposizione di CT.
A cercarla, la vera novità sta in quel verbale. Quando Annemarie descrive situazioni che potrebbero confermare i dubbi sulla gestione delle prime indagini, prima che la palla passasse a Nicola Proto. Ma era già la primavera del 2006. Per sei mesi nulla o quasi era stato fatto, se non le faticose indagini dei legali della famiglia Aldrovandi che hanno prima dovuto smontare la versione ufficiale di un malore fatale. La loro ostinazione porterà a un'inchiesta che appare certo più intensa e che vede iscritti al registro degli indagati quattro agenti per omicidio preterintenzionale.
Spulciando le 76 pagine di trascrizione spunta anche il clima teso degli interrogatori condotti dalla prima pm che poi si sarebbe dimessa per mai chiarite ragioni personali e familiari. Come se quelle testimonianze, alcune delle quali raccolte a caldo dagli stessi agenti che intervennero in via Ippodromo, servissero a capire fin dove si poteva spingere la versione ufficiale che sarebbe stata ripetutamente rettificata.
Un quadro che diventa più fosco se dovessero essere vere le voci sulla maldestra conservazione dei reperti organici di Aldro tanto che se ne potrebbe ordinare la riesumazione per effettuare la super perizia disposta dal nuovo pm e affidata, incredibilmente secondo la parte civile, al dirigente dei due periti del vecchio pm. Quest'ultimo sarebbe stato condannato per omissione di atti d'ufficio e salvato solo dalla prescrizione. E la perizia che minimizzava l'apporto del contatto tra Federico e gli agenti, enfatizzando il ruolo del blando mix di sostanze, sembrerebbe scritta da un «difensore aggiunto», così dice un legale degli Aldrovandi, più che da un perito dell'accusa. Annemarie, perdipiù, aveva paura, non voleva guai, aveva il permesso di soggiorno in scadenza e un figlio che non voleva tirare in ballo. Ma tenersi dentro tutto quello che aveva visto era peggio. Incontra un prete coraggioso e decide di non tacere. Come non faranno altri ferraresi doc senza nemmeno la grana della Bossi Fini da portare a scusante.
Questa storia lunedì prossimo verranno a raccontarla a Montecitorio proprio Lino e Patrizia che il 20 luglio erano in Piazza Alimonda con Haidi e Giuliano Giuliani. La racconteranno a Fausto Bertinotti, il presidente della Camera. E gli diranno anche del piccolo, straordinario, laboratorio di democrazia che sta nascendo in città, quel comitato Verità e giustizia che sta organizzando una manifestazione nazionale, qui a Ferrara, nel primo anniversario della morte di Federico Aldrovandi. Perché non succeda mai più che un diciottenne non torni a casa da una serata in discoteca e che su di lui vengano costruiti castelli denigratori e muri di gomma.