«Federico Aldrovandi fu messo nelle condizioni di non respirare. Aveva bisogno di aiuto: ci doveva essere un defibrillatore sulla volante ma nessuno lo usò. Chi lo aveva ammanettato lo teneva schiacciato a terra». Si chiama asfissia posturale o asfissia meccanica, e in rete c'è una ricca bibliografia su casi simili verificatisi in tutto il mondo durante fermi di polizia o in ospedali psichiatrici.
I legali della famiglia, anticipando di 72 ore gli esiti della relazione dell'autopsia, hanno messo in fila alcune certezze ricavate con fatica dalle indagini svolte, in un clima sempre più incandescente, assieme a tre periti medico-legali che, in più di un'occasione, hanno tolto le castagne dal fuoco alla stessa procura estense. Una memoria è stata presentata ieri mattina a Ferrara in un'ennesima conferenza stampa nello studio dell'avvocato Fabio Anselmo che, con Riccardo Venturi, rappresenta i genitori del diciottenne morto, nel corso di un misterioso controllo di polizia, di fronte al cancello dell'ippodromo ferrarese.
Spiega proprio Venturi come «le caratteristiche del decesso rendano indispensabile l'interpretazione dei risultati dell'indagine autoptica alla luce dei comportamenti evidenziati dalle indagini». «Qualunque cosa possa uscire dopodomani - aggiunge Anselmo - non spiega, da sola, quello che accadde all'alba del 25 settembre scorso». Dunque, c'è bisogno di mettere in fila alcune evidenze. Intanto, è accertato che dopo l'arrivo della prima pattuglia vi fu un contatto, meglio: una «colluttazione», tra il ragazzo e gli agenti, prima due poi quattro. La colluttazione viene fuori dalle relazioni di servizio degli agenti e dalle evidenze di manganellate sul volto e sul capo del ragazzo. Anche se gli agenti negano che quelle ferite siano riconducibili agli sfollagente riportati rotti alla centrale.
La seconda fase fu «l'immobilizzazione forzata, a terra, per diversi minuti». Federico era prono e ammanettato - ricordano tutti i testimoni, anche quelli che hanno aggiustato il tiro nelle deposizioni definitive - quando arrivarono gli operatori del 118. Così lo trovarono, qualche istante prima dell'ambulanza, anche i carabinieri di una gazzella. Più di un testimone riferisce di un agente sopra di lui che gli comprimeva la cassa toracica.
Le contraddizioni tra le relazioni di servizio delle due volanti rendono comunque conto dell'immobilizzazione: una direbbe che il ragazzo si trascinò a terra tutti e quattro i poliziotti che tentavano di ammanettarlo, l'altra che uno solo era su di lui. Invece, agli "ambulanzieri" fu detto che la vittima si sarebbe accasciata solo dopo l'ammanettamento. Voci ormai acclarate, anche dalla pm Emanuela Guerra, ricordano i rantoli di Federico, le suppliche di farla finita che non respirava più.
Con buona pace delle dichiarazioni del questore, secondo cui il decesso sarebbe avvenuto sotto gli occhi di poliziotti, carabinieri e infermieri, è «incontestabile», secondo legali e periti, che Aldrovandi fosse «già morto» all'arrivo, alle 6.15, della prima ambulanza, seguita - tre minuti dopo - dall'auto medicalizzata. Erano state chiamate alle 6.08 dalla centrale operativa della questura dopo la richiesta via radio di 4 minuti prima direttamente dalle volanti intervenute in Via Ippodromo. Il tempo di piazzare gli elettrodi e fu verificata la "asistolia", l'assenza di battiti da defibrillare. Una delle testimoni sentite dalla procura dichiara che, subito prima delle 6.04, quando lei stessa sentì i poliziotti richiedere l'ambulanza via radio, Aldrovandi rantolava e chiedeva aiuto e che anche uno degli agenti era a terra che lo ammanettava. Orologio alla mano, la "compressione" è durata almeno 15 minuti. Per crepare ne bastano solo due, si legge nei manuali di medicina. Conclude Venturi: «Non può non avere avuto un'efficacia causale sull'evento».
Se la scena dovesse essere ulteriormente confermata, la morte di Federico Aldrovandi, 18 anni e 68 giorni vissuti senza fare male a nessuno, sarebbe dovuta alle modalità del controllo di polizia: un mix di manganellate, calci e lo schiacciamento finale. Senza che nessuno pensasse a far funzionare il defibrillatore portatile che doveva essere a bordo di una delle due volanti. Una circostanza su cui si chiede di trarre le «opportune valutazioni».
Intanto a intorbidire le acque ci si mette il Siulp provinciale, un cui comunicato viene sbattuto integralmente in prima da un giornale locale. Il sindacato di ps legato alla Cisl, irritato dal blog della famiglia che ha fatto ripartire le indagini, azzarda l'ipotesi che la morte del carabiniere Scantamburlo (ucciso da una persona arrestata e, pare, non perquisita) sia successa «anche in seguito al clima di tensione che pervade la provincia con il caso Aldrovandi». Una tesi velenosa che potrebbe essere ispirata, secondo fonti di Liberazione, direttamente dal questore o dal suo vicario che era in servizio quella notte.
I carabinieri vi si legge, «per non inscenare comportamenti da far west non hanno posto in essere tutte le attenzioni a tutela dell'incolumità, per non incorrere in critiche da parte dei presenti». E, ancora una volta viene insinuata anche dal Siulp l'ipotesi dell'assunzione di stupefacenti come causa della morte. Nonostante la perizia tossicologica, da tempo, abbia già fatto piazza pulita togliendo dalla scena l'overdose insinuata nel primo mattinale della questura, quello che depistò i cronisti su un «malore fatale», ambienti di polizia continuano ad accreditare la tesi che toglierebbe loro l'impiccio di dare conto delle modalità dei controlli verso i "figli di nessuno". La pm (appare senza precedenti questa contrapposizione con la parte civile) s'è riservata la facoltà di produrre, entro il 9 marzo, i risultati di esami relativi all'eventuale consumo di stramonio, un allucinogeno che Aldrovandi avrebbe potuto trovare al Link di Bologna. Ma nessuno, finora, ha confermato i comportamenti aggressivi e autolesionistici attribuiti dagli agenti a Federico. Un teste, però, dice che il ragazzo, senza documenti, potrebbe essere stato scambiato per un immigrato. E tutto fa pensare che dalle parti di Corso Ercole Primo D'Este sarebbe normale un simile trattamento per "tossici" e stranieri. «L'esplosione mediatica del caso - ribatte Fabio Anselmo - è alimentata dalle ricostruzioni diverse e incoerenti tra loro fornite dalla questura. E tutte incompatibili con gli elementi acquisiti fin dal primo momento». Nessuno, familiari o legali, si sogna di giustificare, come denuncia il Siulp, "lo sballo del sabato sera". «Ma non possiamo giustificare la morte per questo. Federico aveva solo bisogno di aiuto - insiste Anselmo convinto che - se vi fosse stata maggiore trasparenza e maggior efficacia non ci sarebbero state polemiche».
Ma Ferrara è una città strana. Anche troppo. Dalla nebbia sbucano scene e figure surreali. Come quella di un cronista locale che in piena conferenza stampa afferma di sapere che il procuratore capo avrebbe ricevuto «pressioni dal Viminale e da Via Arenula». C'è anche chi chiede verità e giustizia. Centinaia di persone, composte e silenziose, che ogni sabato si trovano in Piazza Trento e Trieste con i parenti e gli amici dell'"Aldro". Lo rifaranno anche oggi.
Note:
http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it/