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A Federico e Travyon, ai ragazzi con le felpe e il cappuccio
Checchino Antonini
17 luglio 2013

Se non li avesse incontrati oggi avrebbe compiuto 26 anni, con i suoi amici di sempre, meravigliandosi, come tutti avrebbero diritto, di come in certi momenti l'allegria possa mescolarsi alla malinconia.

Non fosse nato a Ferrara ma in Florida, Federico Aldrovandi si sarebbe chiamato Travyon Martin e l'avrebbe ucciso, a soli diciassette anni, un razzista, una guardia volontaria. Uno di quelli che a Nordest avrebbe fatto le ronde per Bossi e Calderoli e Borghezio.

A Los Angeles le chiese battiste del quartiere dei neri hanno invitato i fedeli a partecipare alla messa indossando felpe col cappuccio come quella che Martin indossava una simile quando è stato freddato dalla pistola di Zimmerman a Sanford.

Anche Federico ne indossava una quella notte del 25 settembre del 2005. Ed era senza documenti. Così uno di quelli che l'avevano ammazzato chiamò il funzionario della digos: «Venga un po' che c'è uno vestito come uno dei centri sociali, magari lo riconosce».

Negli States, il paese dove si gira armati per paura di quelli che girano armati, una giuria ha assolto chi ha ucciso Zimmerman riconoscendo il «ragionevole sospetto».

Scrive Sandro Portelli, professore di storie americane: «Non ti uccidono per quello che fai, ma per quello che sei». In Florida, come a Ferrara - è sempre così - o alla periferia di Milano, a Varese, sul Raccordo a Roma, in un repartino penitenziario di un ospedale, all'uscita da una festa reggae su una spiaggia di Focene e perfino in Piazza Alimonda, a Genova.

E noi continuiamo a raccontare queste storie con l'unico «ragionevole sospetto» che possa esistere un modo per liberare dalla paura la vita di ciascuno e di tutti, insieme.

Con l'affetto infinito per Patrizia, Lino, Stefano.

«Passano i giorni. 17 luglio 2013, 26 anni nel cielo», ha scritto suo padre dal blog che sette anni fa ha squarciato il velo del silenzio sull'omicidio di malapolizia. Ecco quella lettera:

Caro Federico in questo mio continuo contatto immaginario con la tua anima, quanti perché mi piombano addosso e con cui sarò condannato a confrontarmi per il resto della mia vita. Passano i giorni e dopo quasi otto anni non si sta meglio, si sopravvive. Guardo il mondo sempre più sconcertato.

Quanto dolore, quante torture, quante incomprensioni, quanta arroganza, quanta violenza, quanta supponenza, quanta indifferenza, quanto corporativismo a prescindere dalle responsabilità palesi nei casi di tante altre vittime senza giustizia. E quando mi sento allo stremo e mi sembra di non farcela, nella mia solitudine forzata, ripenso al tuo sguardo e al tuo sorriso che mi donasti fin da bambino, e fino a poche ore prima che 4 persone ti uccidessero con violenza, senza una ragione. Ripensare a quei momenti insieme, per risentire la tua voce, sempre viva nel mio immaginario, pronunciare ancora una volta una frase magica e unica, più grande di ogni male: "ti voglio bene papà", come quel 17 luglio 2005, giorno del tuo diciottesimo compleanno trascorso meravigliosamente insieme per l'ultima volta. Oggi ne avresti 26 di anni e chissà quante cose belle o meno belle avremo condiviso insieme.

Non crescerò mai Federico, come l'hanno maledettamente impedito a te.

Non cresceremo mai, ma altri bimbi forse si, se gli uomini di buona volontà sapranno prendere spunto e insegnamento da questa orribile storia, in questo nostro paese.

Buon compleanno Federico, in attesa di quel che verrà.

Lino