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Il caso Coisp-Ferrara è la spia di un degrado profondo
Lorenzo Guadagnucci
28 marzo 2013

Il sit-in del sindacato Coisp sotto il Comune di Ferrara e la sua difesa degli agenti condannati per l'omicidio di Federico Aldrovandi, sta scandalizzando mezza Italia, spaventata da ciò che bolle in pentola nel ventre delle forze dell'ordine, un universo assai poco conosciuto e sempre più opaco.

Gli altri sindacati di polizia, il ministro dell'Interno, l'ex capo della polizia De Gennaro si sono affrettati a precisare che il Coisp è una piccola organizzazione dai modi provocatori e che non esprime il sentire comune del corpo di polizia. Effettivamente è così e ci mancherebbe altro che non lo fosse...

E tuttavia, liquidare questa vicenda come un caso isolato di estremismo sarebbe un grave errore. Il caso è semmai una spia del brodo di coltura nel quale il sindacato Coisp è nato e cresciuto: un contesto nel quale i valori che ispirarono la smilitarizzazione della polizia di stato (1981) e la sua apertura alla società sono un ricordo più che sbiadito.

Da tempo l'idea di una "polizia democratica", cioè aperta, trasparente, responsabile, svincolata da poteri oscuri, cioè l'idea che mosse alcuni poliziotti coraggiosi a sfidare i divieti e promuovere i primi sindacati clandestini fino a ottenere la riforma del 1981, è un'idea minoritaria. Il sindacalismo di polizia si è sfaldato e ha generato innumerevoli sigle, per lo più corporative, nate per difendere microinteressi o addirittura su indicazione (o almeno con il patrocinio) dei vertici di polizia.

L'erosione della riforma dal suo interno è stata progressiva ma ha subito un'accelerazione impressionante nell'ultimo decennio. La terribile vicenda di Genova G8, invece d'essere l'occasione per un'autocritica e l'avvio di un'inversione di tendenza, è stata usata per accentuare la chiusura corporativa e ingaggiare una prova di forza coi poteri elettivi, per affermare cioè un'indipendenza che va ben oltre la lettera e la prassi della Costituzione. È una prova di forza che il vertice di polizia ha vinto facilmente, per la complicità di forze politiche deboli e in crisi di identità e per l'assenza di un sindacalismo democratico cosciente del rilievo politico della posta in gioco.

La polizia di stato è uscita dalla prova post-Genova G8, giocata soprattutto nei tribunali, nel peggiore dei modi. Il vertice formato da funzionari fedeli alla gestione De Gennaro-Manganelli è stato letteralmente decapitato l'estate scorsa dalla sentenza definitiva della magistratura sul caso Diaz. Altissimi dirigenti (Gratteri, Caldarozzi, Luperi) hanno subito pene importanti e sono stati in aggiunta sospesi per cinque anni dai pubblici uffici.

La sentenza è arrivata nonostante il pervicace tentativo della polizia di stato, ossia del suo vertice, di ostacolare il corso della giustizia, sia sul piano pratico con il boicottaggio dell'inchiesta, sia su quello politico e simbolico con le promozioni degli imputati e la loro conferma anche dopo le sentenze di condanna di secondo grado.

E niente è cambiato dopo il giudizio di Cassazione. In qualsiasi altro paese dopo una così grave sconfessione il capo della polizia avrebbe presentato immediate dimissioni e tutti i condannati (anche chi ha beneficiato della prescrizione) sarebbero stati sospesi. Niente del genere è avvenuto.

Il capo della polizia Manganelli si è limitato a dire "è arrivato il momento delle scuse", con un gesto ambiguo, tardivo (da almeno dieci anni è accertato sul piano storico che alla Diaz furono commessi abusi e falsi clamorosi) e privo di qualsiasi conseguenza pratica.

Tutti i condannati sono rimasti al loro posto, salvo quelli colpiti dalla pena accessoria stabilita dal giudice, e non risulta che siano state avviate azioni disciplinari di alcun tipo contro chicchessia. Fra 5 anni, una volta scaduta l'interdizione, i funzionari condannati potranno tornare al loro posto!

Nella sua lotta contro la magistratura, nella sua difesa cieca e corporativa di se stesso, nella sua assoluta incapacità di autocritica e quindi di prevenzione di abusi futuri, il gruppo dirigente che ha guidato la polizia da Genova G8 in poi, si è reso responsabile di un grave degrado dell'etica democratica all'interno di quell'istituzione.

Si è tollerato e ammesso di tutto. Le bravate passate e presenti del Coisp, ma anche i tentativi di manipolare i processi e soprattutto si è permessa la permanenza in servizio di agenti e funzionari responsabili di abusi e falsi con la pericolosa "scusa" che è compito della magistratura l'accertamento dei reati (ma è compito della polizia punire chi sbaglia e prevenire ulteriori abusi!).

E come dimenticare l'incredibile ribellione degli agenti napoletani che nel 2002 arrivarono a circondare la questura per impedire l'arresto di alcuni loro colleghi per gli abusi commessi nel marzo 2001 in occasione della contestazione a un Forum internazionale. E non possiamo tacere del silenzio e dell'assenza di provvedimenti seguiti regolarmente a ogni denuncia circostanziata di abusi evidenti: dal lancio di lacrimogeni ad altezza d'uomo in Val di Susa al pestaggio di uno studente durante una manifestazione e via elencando.

La vicenda di Ferrara è odiosa e abnorme e dobbiamo ringraziare Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi, per il coraggio e lo stile che ha adoperato per affrontare l'odioso sit-in, ma il malessere della polizia è molto più profondo e più grave di quel che appare in queste ore.

Per provare a ridare senso all'idea di "polizia democratica" coltivata da tanti agenti subito prima e subito dopo la riforma dell'81, oggi servirebbero provvedimenti forti.

1) Il commissariamento della polizia di stato con un funzionario preso fuori delle forze dell'ordine e l'avvio di un ampio rinnovamento del vertice operativo;

2) la sospensione immediata di tutti gli agenti rinviati a giudizio o sotto inchiesta;

3) il licenziamento o il passaggio ad altri apparati amministrativi dello stato di tutti i condannati;

4) l'abolizione della norma che riserva l'accesso alla polizia di chi abbia prestato servizio militare volontario;

5) l'introduzione di una legge sulla tortura come reato specifico delle forze dell'ordine;

6) l'obbligo per gli agenti in servizio di ordine pubblico di indossare sulla divisa un codice di riconoscimento;

7) l'istituzione di un organismo indipendente di verifica dei comportamenti delle forze dell'ordine.