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Aldrovandi, carcere o servizi sociali per i quattro agenti
Checchino Antonini
22 gennaio 2013

E' iniziata oggi a Bologna, e andrà avanti il 26 gennaio, davanti al tribunale di sorveglianza la prima delle udienze che dovranno decidere la sorte dei quattro agenti di polizia condannati in via definitiva per eccesso colposo nell'omicidio colposo di Federico Aldrovandi, il ragazzo di 18 anni, morto il 25 settembre 2005, a Ferrara durante un controllo violentissimo di polizia. Per Enzo Pontani, Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto la Corte di Cassazione nel giugno scorso aveva confermato la pena di 3 anni e 6 mesi (3 anni scontati dall'indulto) e ora i giudici della sorveglianza dovranno decidere come e dove far scontare i sei mesi residui della pena. I legali hanno presentato richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali o in alternativa la detenzione ai domiciliari. A Palazzo di giustizia questa mattina si sono presentati Pollastri, Forlani e Segatto. Forlani ha spedito un certificato medico e formulato le scuse dopo le offese a Patrizia Moretti, la mamma Federico all'indomani della sentenza definitiva. Sui social network aveva scritto: «Ma hai (visto, ndr) che faccia di culo aveva sul tg... una falsa e ipocrita (Patrizia Moretti, ndr) spero che i soldi che ha avuto ingiustamente possa non goderseli come vorrebbe..... adesso non stò più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie...» e poi se l'era presa coi soliti «comunisti di merda».

In aula era presente il papà di Federico, Lino Aldrovandi: «I 6 mesi di carcere sarebbero un segnale positivo e di trasparenza. Un monito per chi con la divisa abbia a commettere fatti simili. Secondo me ci sono gli estremi per il carcere, ma non me lo aspetto. Per me invece il messaggio che arriva dalla tre sentenze è che queste persone non devono più vestire la divisa. Queste persone devono essere licenziate».
La posizione disciplinare - sospensione dal servizio, radiazione dalla polizia o altro in seguito alla condanna definitiva - è distinta infatti da quella penale e demandata ai consigli provinciali di disciplina delle questure del Nord Italia in cui i quattro poliziotti svolgono ora servizio: secondo l'orientamento giuridico, hanno più volte spiegato i legali, trattandosi di reato colposo e non doloso, sarebbe prevista la sospensione temporanea, ma il rischio è anche quello della radiazione. La decisione della disciplinare, prevista per marzo, è autonoma e svincolata da sentenza penale e provvedimenti della Sorveglianza, anche se, i due percorsi si influenzano. Quanto alla natura del reato, la lettura delle motivazioni spiega molto di più del titolo di reato. I quattro non solo pestarono a morte un ragazzo disarmato, incensurato e che non stava commettendo alcun reato ma assieme a settori importanti della questura parteciparono alla prima fase delle indagini quando anche altri poliziotti e funzionari hanno agito per depistare le indagini su quanto avvenne all'alba del 25 settembre nel parco di Via Ippodromo.
«Io non sono contro la polizia ma contro chi ha disonorato il corpo», ripete per l'ennesima volta Lino Aldrovandi. «Credo ancora nello Stato, è ed è stato un percorso faticosissimo, ma non siamo stati lasciati soli», prosegue il padre di Federico parlando di «una tristezza grandissima perchè in questa vicenda abbiamo perso tutti, noi genitori e le istituzioni. Mi aspetto che i giudici leggano le parole scritte nelle tre sentenze di condanna, in cui si parla di "schegge impazzite in preda al delirio" e che dimostrano che qualcosa non è andata. Anche se anche ci fossero cento anni di condanna non ci sarebbe giustizia, la sola giustizia sarebbe che tornasse indietro Federico. Le responsabilità personali vanno pagate, e noi chiediamo che questi agenti non vestano più la divisa».