Rete Invibili - Logo
Ieri sera alla Sala Estense il dibattito sui casi emersi dopo la morte di Federico Aldrovandi. Vendemmiati: chi sa, parli

«Chiediamo un intervento concreto nelle leggi e nella cultura perché queste cose non accadano mai più».

Così Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, della cui morte ricorreva ieri il sesto anniversario, ha aperto alla Sala Estense, di fronte a circa 200 persone, un dibattito sull'assenza del reato di tortura dalla legislazione italiana.

Oltre a lei, partecipavano Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, Domenica Ferrulli, figlia di Michele, e Lucia Uva, sorella di Giuseppe: tre donne che hanno perso i loro cari in vicende per le quali chiamano in causa membri delle forze dell'ordine. Nel primo caso sono sotto processo, tra gli altri, tre carabinieri, nel secondo uno psichiatra dell'ospedale di Varese e nel terzo sono indagati quattro poliziotti.

Tutte le famiglie sono assistite dall'avvocato ferrarese Fabio Anselmo, presente ieri sera con anche l'ex sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi. La storia di Federico è raccontata in 'È stato morto un ragazzo' del giornalista Rai Filippo Vendemmiati, che ha condotto il dibattito.

«La storia di Patrizia e Lino Aldrovandi fu emblematica e trasmise coraggio agli altri: oggi su questi casi certe luci sono accese», ha affermato, citando la testimone del processo Aldrovandi Anne Marie Tsegue.

«Cos'è cambiato rispetto ad un anno fa?» si è chiesto. «Ora possiamo affermare con convinzione che quel 25 settembre è stato ucciso un ragazzo: lo scrivono due sentenze e per questo mi sembrano fuori luogo le polemiche su quando potremo finalmente dirlo».

Il verdetto di primo grado lasciò però «un grosso punto interrogativo, che forse non avrà una risposta giudiziaria: cosa provocò la lite tra Federico e gli agenti? I giudici d'appello hanno fatto un passo avanti, scrivendo che la prima volante si trovava già sul posto quando Federico giunse là, e chiedendosi cosa ci faceva. Cosa vide il ragazzo? Chi c'era davvero sull'auto? Il comportamento degli agenti fu quello di chi voleva vendicarsi di qualcosa: lo scrivono i giudici».

Il giornalista ha affermato anche di sapere che «c'è qualcuno che sa cosa accadde, e si tratta di fatti molto gravi; questa persona non parla perché ha paura, ma io la invito a raccontare».

«Per anni si è sostenuto che il caso Aldrovandi è isolato - ha detto invece Anselmo - ,e invece no: si tratta di un problema politico, sociale e culturale della nostra nazione». Il punto è che se quelle persone non fossero morte «gli agenti sarebbero stati imputati di lesioni personali lievi, cavandosela con una pena pecuniaria modesta». Altri Paesi europei prevedono invece il reato di tortura «e dunque questo non accadrebbe. Onu e Ue ci hanno imposto di introdurlo nel nostro ordinamento, ma secondo il sottosegretario agli esteri da noi non serve».