Sarà presentata ufficialmente il 25 settembre a Ferrara, nel quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi. La madre, Patrizia Moretti: "Un modo per unire le nostre voci e avere più forza. Lavoreremo perché non accada più".
"Continuare a parlarne è la forma più duratura di giustizia". Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi ucciso il 25 settembre 2005 da 4 poliziotti, ha ancora voglia di far sentire la sua voce. Ma perché abbia più forza l'ha unita a quella delle famiglie Bianzino, Cucchi, Giuliani, Sandri e Uva. Nel quinto anniversario della morte di Federico, a Ferrara, verrà presentata l'associazione famiglie delle vittime delle forze dell'ordine. Quel giorno sarà anche la prima nazionale del documentario di Filippo Vendemmiati sul caso Aldrovandi.
"Sarà un'associazione aperta - racconta Patrizia Moretti - che nasce con due obiettivi: lavorare perché nessuno debba più vivere ciò che è accaduto a noi e ricucire il rapporto con le istituzioni". La madre di Federico tiene infatti a ricordare come, in questi anni, non abbia mai generalizzato le accuse, ma abbia sempre distinto i colpevoli dalle persone oneste. "Ho accusato di omicidio i 4 agenti condannati nel 2009 - precisa - e di depistaggio e falso i loro colleghi che hanno cercato di nascondere quanto era accaduto, mai la polizia nel suo complesso".
Quello del poliziotto è un mestiere delicato, "che va fatto con coscienza". È per questo che la madre di Federico sostiene l'importanza di una selezione sugli ingressi e della formazione. E parla della necessità di poter identificare gli agenti, cosa che oggi non è possibile. La strada da fare è ancora lunga, ma lei non si tira indietro ed è convinta che ognuno nel suo piccolo possa fare qualcosa. "Non credo che la gente voglia una polizia di cui avere paura - afferma -. Anche per questo la legge deve essere uguale per tutti. Oggi, purtroppo, non è così".
La notizia della decisione di costituirsi in associazione arriva a pochi giorni dall'anteprima veneziana del documentario "È stato morto un ragazzo" (8 settembre nelle Giornate degli autori). "Il titolo è una sgrammaticatura, ma riflette la realtà. Abbiamo lottato a lungo contro le versioni ufficiali che via via ci venivano raccontate - racconta Patrizia Moretti - e che, puntualmente, venivano smentite".
Patrizia Moretti si aspetta molto dal film di Vendemmiati, "l'unico" a suo parere che potesse girarlo. Il regista, di origine ferrarese, era un conoscente della famiglia (compagno di scuola di Lino Aldrovandi) a cui, durante la lavorazione, si è avvicinato molto. "Ha seguito il processo fin dall'inizio e conosceva bene la vicenda - chiarisce la madre di Federico - ma il film gli ha permesso di approfondirla sia dal punto di vista giornalistico che da quello umano".
Una conoscenza, quest'ultima, che, secondo Patrizia Moretti, è mancata a Maria Emanuela Guerra, il pubblico ministero a cui era stato assegnato il caso e che "non ha mai cercato di sapere chi era mio figlio o che cosa aveva fatto quel giorno. Non le importava di lui". Tanto che per i primi 4 mesi il fascicolo dell'indagine rimase vuoto e ci vollero il blog aperto da Patrizia Moretti e l'assegnazione a un nuovo pm per arrivare al processo. "Il fascicolo vuoto non è una mia invenzione - precisa - ma un fatto. Oggi, quel pm ha scelto di querelarmi per averlo detto. Non so perché lo abbia fatto, ma credo che per lei sia controproducente".
Nonostante tutte le falsità dette sul figlio, i depistaggi e le querele, Patrizia Moretti non ha perso la fiducia nella giustizia. "Non ho mai dubitato che la verità sarebbe venuta alla luce - racconta -. È vero, la condanna è piccola, ma nemmeno l'ergastolo avrebbe potuto restituirmi Federico. Ho lottato per dargli la giustizia che meritava. Credo che il film di Vendemmiati sia importante: potrà mettere mio figlio nella giusta luce e farlo vivere di nuovo, visto che lui non può più farlo".