I brogliacci truccati, i reperti imboscati, le telefonate troncate, le stranezze della scientifica di quel 25 settembre 2005, appesantiscono le responsabilità di chi non ha chiamato subito il 118 e ha omesso il soccorso a un ragazzo che soffriva. Si chiamava Federico Aldrovandi. Ci sarà un processo, e inizierà il 22 gennaio a Ferrara, per chi depistò le indagini e cercò di coprire i quattro agenti condannati per l'omicidio colposo del diciottenne in Via Ippodromo.
Omissione di atti d'ufficio, falsa testimonianza, favoreggiamento personale saranno i capi d'accusa del processo-bis, chiusa cinque mesi dopo la sentenza di primo grado per l'omicidio colposo di Aldrovandi (3 anni e 6 mesi a ciascuno dei quattro componenti degli equipaggi delle due volanti). Udienza preliminare il 22 gennaio prossimo.
Quello che, all'epoca dei fatti, era il capo delle volanti dovrà rispondere di aver omesso di informare dettagliatamente la pm di turno tacendole la violenta colluttazione tra Federico e gli agenti, "limitandosi a informarla che il decesso sarebbe stato riconducibile a overdose e che il caso non presentava particolari difficoltà". E inducendola a non recarsi sul posto, secondo il pm Nicola Proto, lo stesso che ereditò da questa la prima inchiesta. Per questo la magistrata non andò sul luogo del delitto, in Via Ippodromo. Il centralinista di quella maledetta domenica, capo turno al 113, avrebbe detto il falso, "negando di aver interrotto la comunicazione telefonica con il capoturno delle volanti che si trovava in via Ippodromo alle 6.32" ma una registrazione lo inchioda. E compromette il collega dall'altra parte del filo che non rivelerà cosa si siano detti a microfono spento. Entrambi sono accusati anche di aver aiutato i quattro delle volanti, proprio con quella telefonata troncata, "ad eludere le possibili investigazioni nei loro confronti". Sotto accusa anche l'ufficiale di polizia giudiziaria che non trasmise la copia del registro delle chiamate tra polizia e carabinieri.
Da Ferrara a Roma, dall'omicidio di Federico Aldrovandi a quello di Stefano Cucchi. Fissato per il 9 dicembre prossimo l'incidente probatorio per dar forza di prova alle dichiarazioni di un albanese che la mattina del 16 ottobre scorso era in cella con Stefano Cucchi e che lo avrebbe udito mentre diceva di essere stato picchiato. L'incidente probatorio si svolgerà davanti al giudice dell'indagine preliminare Luigi Fiasconaro. Intanto il pubblico ministero Vincenzo Barba ha interrogato ieri l'agente della polizia penitenziaria che aveva ritrovato la memoria a un mese dalla morte di Cucchi e davanti alle telecamere di Matrix. Qui, ripreso di nuca come un pentito di mafia aveva riferito una conversazione tra Cucchi e altri detenuti in attesa di comparire davanti al giudice la mattina del 16 ottobre scorso. L'agente, di fronte al pm, avrebbe riperso la memoria. Ha smentito di aver udito Cucchi dire "la scorsa notte ho avuto un incontro di pugilato". Il testimone ha invece confermato quanto già dichiarato il 10 novembre scorso durante un interrogatorio e cioè che durante il tragitto del cellulare per trasportare Cucchi dal Palazzo di Giustizia al carcere di Regina Coeli chiese al geometra che cosa gli fosse successo e questi gli rispose, "sono caduto dalle scale". E un altro detenuto che commentò: "Ha fatto la parte del sacco in un incontro di pugilato".
Ilaria, sorella del detenuto ucciso dalle botte e dall'incuria, secondo le ipotesi di indagine, non ce la fa più con le "insinuazioni sullo stato di Stefano rispetto alla tossicodipendenza o ai rapporti con la sua famiglia, che invece erano ottimi. Vorrei ricordare che non è stato un suicidio e che di certo non l'abbiamo ucciso noi. Il suo corpo parla da solo". "C'è stata una colpevolizzazione della vittima - ha detto anche Luigi Manconi - come se il suo passato con la droga fosse un'attenuante per le violenze o le manchevolezze". Anche Aldrovandi e la sua famiglia hanno subito lo stesso linciaggio strisciante.