La sentenza di condanna c'è, le motivazioni anche. Manca ancora qualcosa però nella storia di Federico Aldrovandi, il ragazzo morto il 25 settembre del 2005 dopo una colluttazione con quattro agenti di polizia, ed è l'"effettiva ragione" della sua morte. A scriverlo è il giudice Francesco Caruso nell'introduzione alle 567 pagine in cui spiega perchè nel luglio 2009 ha condannato a tre anni e sei mesi Enzo Pontani, Monica Segatto, Luca Pollastri e Paolo Forlani, i quattro poliziotti che hanno causato il decesso del ragazzo.
"Tanti giovani studenti, ben educati, di buona famiglia - scrive il giudice Caruso - incensurati e di regolare condotta, con i problemi esistenziali che caratterizzano i diciottenni di tutte le epoche, possono morire a quell'età. Pochissimi, o forse nessuno, muore nelle circostanze nelle quali muore Federico Aldrovandi: all'alba, in un parco cittadino, dopo uno scontro fisico violento con quattro agenti di polizia, senza alcuna effettiva ragione" .
Nell'introduzione alle motivazioni della sentenza Caruso ricostruisce la figura di Federico, la sua normalità di "studente, incensurato, integrato, di condotta regolare, inserito in una famiglia di persone perbene, padre appartenente ad un corpo di vigili urbani, madre impiegata comunale, un fratello più giovane, un nonno affettuoso al quale il ragazzo era molto legato". E, nello spiegare il perché del risarcimento accordato alla famiglia, definisce "incalcolabile" l'entità della perdita subita dalla famiglia di Aldro e si preoccupa di sottolineare anche il "supplemento di sofferenza" che è derivato dalle condizioni in cui il cadavere di Federico è stato ridotto: con il volto tumefatto, insanguinato e coperto di ecchimosi.
Ma le motivazioni della sentenza con cui il Tribunale ha condannato per eccesso colposo i quattro agenti della questura di Ferrara che quella notte intervennero in via Ippodromo non descrivono solo Federico, la sua famiglia e quello che la morte del ragazzo ha significato nel privato degli Aldrovandi. Il giudice ricostruisce anche il corto circuito positivo tra opinione pubblica e mezzi di informazione che nel caso di Federico ha portato ad accertare la verità.
Inchiesta e processo hanno infatti visto come parte fondamentale la famiglia Aldrovandi, la mamma Patrizia Moretti e il papà Lino, in prima linea per chiedere la verità, prima con il blog su Kataweb aperto nel gennaio 2006 e diventato uno dei più cliccati in Italia, poi durante l'inchiesta e il processo, scanditi dalle perizie, dalla raccolta delle testimonianze, dalla ricostruzione faticosa delle cause della morte di Federico. Un impegno che ha contribuito in modo determinante a far conoscere la storia di Federico in città e anche nel resto d'Italia.
"Quando un affare del genere si verifica in una città civile come Ferrara, dotata di opinione pubblica e società civile reattive, di un sistema d informazione diffuso e disposto a diffondere notizie e spiegazioni e a non subire, il fatto di cronaca - scrive il giudice - (...) diventa un caso (...) un affare pubblico".
Ed è proprio l'essere un fatto pubblico che, secondo il giudice, ha dato forza al modo in cui si è arrivati alla sentenza di condanna dei quattro poliziotti. "In questo processo - si legge nelle motivazioni - si è consentito al pubblico, aprendo l'aula ai mezzi di comunicazione radiotelevisivi, di avere piena cognizione del modo in cui si amministra giustizia nel Paese, nel bene e nel male, e si è dato modo al pubblico di formarsi un opinione. Ovvio che la complessità delle cose e il loro aspetto tecnico, specialistico, professionale, può indurre semplificazioni, errori, omissioni, fraintendimenti. Ma nessuno potrà lamentare silenzi, oscurità, omissioni".
Quello che invece ancora manca, è la ricostruzione della precisa meccanica di quanto è accaduto quella mattina in via Ippodromo. Perché se è accertato che "la morte del ragazzo fu conseguenza della violenta colluttazione con i quattro agenti, armati di manganelli, decisi a immobilizzarlo e ad arrestarlo ad ogni costo, per fargli scontare le conseguenze di una precedente fase di conflitto", a rimanere "oscure" sono "l'origine le cause, le ragioni le concrete modalità di svolgimento di quella prima colluttazione". Quella "effettiva ragione" per la morte di Federico Aldrovandi che neanche un processo è riuscito a trovare.