Federico vive dentro di noi". Giovedì saranno quattro anni. Quattro anni dalla scomparsa di Federico Aldrovandi, 18 anni, morto al termine di una violentissima colluttazione con quattro poliziotti, tutti condannati a tre anni e sei mesi. Era l'alba del 25 settembre 2005 e la città si svegliò assaporando, assieme al caffè, l'amaro gusto del cambiamento.
'Aldro' morì sull'asfalto appena fuori dal parchetto di via Ippodromo dopo una serata trascorsa con gli amici. I poliziotti lo avevano trovato agitato, è stato raccontato in aula. Poi è successo quello che è successo: colluttazioni, manganelli rotti, calci, compressioni, ammanettamento violento per l'accusa; agitazione psico-motoria, droga e sindrome da eccitazione delirante, lui che aggredisce i poliziotti per la difesa.
Dal 6 luglio, in tutta questa drammatica vicenda, c'è un punto fermo. Pesante, pesantissimo, e che comunque - va ricordato - potrà subire cambiamenti nel secondo grado di giudizio: la condanna dei quattro agenti. "Da quel giorno è cambiato tutto, due genitori hanno perso un figlio e Stefano un fratello - dice commosso Lino Aldrovandi, papà del diciottenne -. Quanto meno, dopo la sentenza, le persone guardano a questa storia con maggiore rispetto e dignità nei confronti di Federico. Abbiamo impiegato quattro anni per far aprire gli occhi alla gente: anni di lotta, di sofferenza, di sudore, di dolore, tutto in nome della verità e di mio figlio".
All'inizio del mese prossimo sono attese le motivazioni del giudice Francesco Caruso. Poi la difesa tenterà in ogni modo di ribaltare, in appello, la sentenza di condanna. Cosa si aspetta?
"Un giudizio ancora più pesante e non dimentichiamoci che in ballo c'è ancora l'inchiesta bis. Cautelativamente, dopo la prima sentenza, mi aspettavo che quei quattro poliziotti venissero sospesi, invece sono ancora al loro posto. Se Federico quella maledettissima mattina non li avesse incontrati oggi sarebbe ancora vivo".
Dopo il 6 luglio è cambiato l'atteggiamento delle forze dell'ordine?
"Questa è una sentenza basilare e importantissima per tutte le forze dell'ordine e, in mezzo, mi ci metto anch'io (Lino è un agente della Municipale, ndr). Ora c'è più attenzione. Le persone quando si rivolgono alle forze dell'ordine hanno fiducia, giustissimo sia così".
Come si vive senza Federico?
"Vivi in una dimensione strana e ti dici sempre 'adesso lui rientra, stai tranquillo'. E' terribile sopravvivere alla morte di un figlio. La nostra fortuna più grande è Stefano (il fratello, ndr) che tanto assomiglia a Federico ma è diverso. In lui, quando lo guardo, vedo tante cose di suo fratello. E' la nostra vita. La cosa ancora più terribile in questi quattro anni è stato sentirci accusare che Fede era un drogato, un pazzo, un buono a nulla. Tutto questo per giustificare gli errori di quei poliziotti. Il pm Proto in aula è stato chiarissimo: per Federico parlano le fotografie. Ma se anche mio figlio fosse stato un drogato, il mio pensiero nei confronti di quei quattro poliziotti non sarebbe cambiato: il messaggio percepito in tutto questo tempo è stato che lui era un drogato e che quindi quella notte se l'era cercata. Una cosa assurda e inconcepibile".
Se 'Aldro' ora fosse qui...
"Beh...sarebbe meraviglioso. Aveva tanti sogni per la testa, amava gli animali, tra le tante cose voleva fare il veterinario. Stava crescendo e imparando ad assaporare la vita. Se fosse qui adesso gli correrei incontro, lo abbraccerei forte forte e non lo lascerei più andare via».
di Nicola Bianchi