Federico sarebbe morto comunque. Nel parchetto di via Ippodromo come nel letto di casa sua. Quando sente queste parole uscire dalla bocca del consulente della difesa, Lino Aldrovandi alza le braccia al cielo, si prende la testa tra le mani e poi non regge più ed esce dall'aula.
È il momento più intenso della ventesima udienza del processo Aldrovandi. La prima senza la presenza nell'aula B del tribunale di Ferrara di Patrizia Moretti. La madre di Federico ha dovuto rimanere a casa per i postumi di una recente operazione.
Si è risparmiata così i freddi termini tecnici che hanno accompagnato l'audizione dei tre consulenti di parte nominati dal collegio difensivo che rappresenta i quattro agenti accusati dell'omicidio colposo di suo figlio.
Davanti al giudice Caruso hanno esposto le loro conclusioni Giovanni Berti Donini, tossicologa dell'istituto di Medicina legale di Ferrara, Giampiero Giron, anestesista di Padova, e Claudio Rago, medico legale di Padova. La prima cosa è balzata agli occhi dei presenti è stata la ricostruzione delle cause che hanno portato alla morte del 18enne diametralmente opposta a quelle sostenute dai consulenti di parte civile.
Sia per quanto riguarda l'assunzione di stupefacenti ("da soli sufficienti a determinare il decesso"), sia la colluttazione ("che non ha avuto effetto nel processo che ha portato alla morte del ragazzo"), sia la posizione prona ("di nessuna rilevanza").
La prima a parlare è Giovanni Berti Donini, che sottolinea come "l'ambiente circostante, il "setting", abbia potuto influire sulle condizioni psicotiche del 18enne: quando si assumono certe sostanze - sostiene - certe situazioni possono essere recepite come stimoli ostili, ad esempio la vista di una divisa, o dei lampeggianti di una volante". La tossicologa poi nega l'eventuale azione di sinergismi tra le sostanze assunte, ammettendone però la sommatoria degli effetti: "la ketamina ha causato un aumento della frequenza cardiaca e quindi una richiesta maggiore di ossigeno che l'organismo non è riuscito a procurare a causa della capacità respiratoria esercitata dall'azione deprimente della morfina".
Quanto agli effetti tossici della ketamina, quella droga da sola "potrebbe essere stata sufficiente a condurre alla morte".
Sommando inoltre gli effetti analgesici di ketamina e morfina, "si capirebbe perché il soggetto abbia potuto subire traumi senza avvertire dolore". La Donini rivendica poi la validità delle analisi sui reperti di sangue condotte a FerraraA, rispetto a quelle di Torino (con valori di gran lunga inferiori), ritenendo i campioni giunti all'Ausl piemontese "alterati ed esigui". La specialista però "ricusa" la domanda del pm Nicola Proto che chiedeva se la colluttazione con i poliziotti e la posizione prona con le manette dietro la schiena possano aver influito nel decesso.
Tocca poi a Giampiero Giron assicurare come il cuore di Federico si sia bloccato in conseguenza di "un'agitazione psicomotoria intensissima, esasperata da circostanze ambientali, che ha innescato un meccanismo che ha portato a perdere il controllo del cervello e quindi a non rendersi conto del fabbisogno di ossigeno che il suo organismo richiedeva". Se il ragazzo era in queste condizioni dipende "dall'assunzione delle droghe, indipendentemente dalle quantità ingerite".
Ecco allora che "quanto più dura lo stato di alterazione psicomotoria, tanto più si esaspera il debito di ossigeno". Un debito di ossigeno al quale, secondo l'anestesista, "non ha contribuito in alcun modo al colluttazione con i poliziotti". Lo stesso vale per la posizione prona, che addirittura "potrebbe protrarsi per mesi.
Anche per quanto riguarda l'ipotesi di morte asfittica avanzata dai consulenti di parte civile per Giron "non ci sono segni che la provino". Anche le ferite interne alla bocca "sono compatibili con le manovre respiratorie" (anche se in dibattimento i sanitari del 118 hanno confermato di non aver praticato manovre invasive in sede di rianimazione).
Nemmeno mettere Federico in posizione seduta per facilitare la respirazione l'avrebbe salvato: "non cambiava nulla", dice categorico il medico. Che scagiona completamente gli agenti anche per quanto riguarda l'immobilizzazione: "anche se fatta in maniera non funzionale al trattamento terapeutico non aggrava le condizioni del soggetto". Le conclusioni di Giron fanno rumoreggiare l'aula: "in casi come questo il soggetto è inesorabilmente destinato alla morte se non si effettua una terapia d'urgenza".
L'ultimo consulente a comparire in aula è il medico legale Claudio Rago che non si discosta dalla causa del decesso individuata da chi l'ha preceduto: "un arresto cardiaco per consumo di ossigeno dato dall'agitazione psicomotoria".
Rago tenta di smontare le ipotesi illustrate dall'anatomo-patologo Giovanni Beduschi, direttore dell'Istituto di medicina legale di Modena, nella precedente udienza: "l'edema cerebrale può essere ricondotto - dice - alla pressione interna al cranio venutasi a creare dall'agitazione psicomotoria e i segni di una morte asfittica non sono così probanti". Anzi: "pur non escludendo una morte asfittica, della quale però non ho le evidenze scientifiche, sono quei segni che mi fanno supporre che sia intervenuta una morte cardiaca e non da asfissia".
Il particolare assume estrema rilevanza ai fini del processo: proprio sull'evento ultimo che ha causato il decesso (stress che ha procurato l'infarto oppure contenimento che ha privato il ragazzo dell'ossigeno necessario) si gioca gran parte dell'eventuale responsabilità degli imputati.
E in questo quadro secondo il consulente "anche nelle migliori condizioni di posizionamento Federico non sarebbe comunque riuscito a procurarsi il fabbisogno di ossigeno di cui aveva bisogno: il contenimento non ha prodotto né accelerato la morte".
Ecco quindi che, incalzato dalle domande del pm, Rago arriva ad affermare che "la posizione in cui era Federico negli ultimi momenti di vita era ininfluente". Era allora già condannato prima di arrivare in via Ippodromo? Pare di sì secondo il consulente: "anche se i suoi amici l'avessero portato a casa sarebbe morto lo stesso".
Al termine dell'udienza la difesa ha richiesto un altro sopralluogo in via Ippodromo per verificare l'attendibilità di alcuni testimoni oculari, richiesta rigettata dal giudice per "l'impossibilità di riprodurre le esatte condizioni di tempo e di luogo del fatto".
La prossima udienza dell'11 novembre alle ore 9.30 vedrà comparire gli ultimi consulenti della difesa (il cardiologo del S. Orsola Malpighi Claudio Rapezzi, lo psichiatra dell'Università di Bologna Domenico Berardi e il tossicologo della Cattolica di Roma Marcello Chiarotti). In quella successiva, fissata per il 24 novembre, toccherà ai periti del tribunale (Testi e Bignamini) fare con la loro deposizione praticamente da arbitri alle versioni contrastanti fornite dalle consulenze di parte).
Le tappe successive vedranno una giornata dedicata all'ammissione di nuove prove ex 507 cpp e poi la requisitoria delle parti, cui seguirà le sentenza di primo grado.