La sorpresa potrebbe arrivare proprio da Via Ercole d'Este, dalla questura. Un ispettore della Digos sarà uno dei prossimi testimoni a raccontare circostanze legate alla morte di Federico Aldrovandi e alla gestione delle prime indagini. Queste, infatti, potrebbero spiegare anche particolari ancora oscuri di quella morte, avvenuta il 25 settembre del 2005 all'alba di una domenica di fronte al cancello dell'ippodromo estense durante un controllo violentissimo di polizia. Ottocentoquattro giorni dopo - li ha contati Lino, il papà del ragazzo - c'è un processo per omicidio colposo ai quattro agenti in azione quella mattina. Ieri la seconda udienza con i ricordi di Patrizia Moretti, la madre, di suo marito e degli amici dell'Aldro, gli ultimi a vederlo camminare verso il parchetto dell'ippodromo al ritorno da un centro sociale bolognese, tra le 4.30 e le 5 di quella domenica. Tutti i racconti, nell'aula di nuovo strapiena, restituiscono il clima cupo delle prime ore dopo la morte di Federico: chi interrogò familiari e testi era brusco, se non arrogante, senza tatto, tanto da intimidire i ragazzi e «aiutarne» le risposte nei primi verbali. Che i conti non tornassero nemmeno al pm che un anno e mezzo dopo erediterà l'inchiesta, si capiva dalla cosiddetta inchiesta-bis, che indaga sulla manomissione dei brogliacci del centralino del 113 e del congelamento di alcuni tamponi di sangue di Aldrovandi nel frigo della questura. Circostanze tutte da acclarare ma che pongono altre questioni trasversali alle due indagini: chi decise di affidare alla polizia l'inchiesta sulla polizia? E perché i primi, e unici, passi della questura, si diressero sulla tesi dell'overdose e contro i centri sociali antiproibizionisti?
L'ispettore della Digos, sull'affollata scena del crimine nelle ore successive ai fatti, potrebbe riferire «circostanze particolarmente inquietanti» come dice Patrizia Moretti, la prima delle 15 voci di un'udienza che durerà fino a notte fonda. Il poliziotto è già stato sentito nell'ambito dell'inchiesta bis e il verbale è arrivato solo ieri nel fascicolo principale.
Potrebbe approfondire i capitoli più lacunosi della faccenda: se fu chiamato il pm e quando, se furono occultate prove. I manganelli spezzati in due nel "controllo", ad esempio, sarebbero riapparsi solo qualche tempo. E l'ispettore della Digos potrebbe aver ricevuto a sua volta avvertimenti, se non minacce, simili a quelle che hanno raccontato gli altri testimoni ascoltati. Lui non vedrebbe l'ora di parlare ma, a Patrizia Moretti, avrebbe confidato che l'avrebbe fatto solo davanti al giudice. Perché l'uomo della Digos è un amico di famiglia degli Aldrovandi. E fu proprio lui a presentarsi quella mattina per avvisarli della tragedia. Lino, ispettore di polizia municipale a sua volta, e Patrizia così hanno ricordato nella testimonianza: lo avevano cercato a casa non appena una voce secca aveva risposto all'ennesimo squillo del cellulare di Federico. Aveva detto di essere della polizia, che si stavano facendo accertamenti su un telefonino trovato su una panchina. Abbastanza da allarmare chi aveva trovato il letto del figlio diciottenne vuoto. L'ispettore amico era già sul posto e più tardi arriverà a casa di Federico per recitare una versione ufficiale alla quale, forse, nemmeno lui crede: che Federico non era più lui, che sbatteva la testa e s'è fatto male, scalciando anche sul cofano di una delle due volanti, che sarebbe morto prima di poterlo toccare. Prima lei, poi Lino, ricordano quei momenti con la voce gonfia di pianto ma senza esitazione e in perfetta sintonia. No, non li fecero andare all'obitorio a riconoscere il corpo. Ci andò Franco, il fratello di lui, infermiere. Nessuno immaginava le percosse. Franco quando lo vide così sfigurato pensò che il nipotino fosse stato investito o scaraventato da un'auto in corsa. La fronte sfondata. Ma un «malore» non sfonda la fronte. Un giornale, 48 ore dopo, titolerà "Federico sfigurato". Il questore convocherà gli Aldrovandi che credono voglia consolarli in qualche modo. Invece Elio Graziano, da un anno trasferito a Modena, era irritato dal titolo del giornale e, a chi lamenta che il giorno prima la stampa avesse insinuato l'overdose, Graziano avrebbe detto che la tesi del malore è quasi un favore, ammette la colluttazione dopo la quale anche gli agenti si fecero refertare ma "rassicura" Lino e Patrizia: non vi chiederanno i danni. L'amico ispettore si lascia sfuggire che se fosse stato suo figlio si sarebbe rivolto a un medico legale. Tuttavia sarà ancora lui, qualche giorno dopo a chiedere agli Aldrovandi di licenziare il loro avvocato salvo poi consigliare di seguire «la voce del cuore».
Le prime conferme ai dubbi feroci, i testimoni indiretti, quelli che si sono tirati dietro, poi la supertestimone, quasi due anni di controinchiesta, ecco in sintesi il racconto degli Aldrovandi, mentre la questura sembrava andare solo appresso al Link come gli aveva detto il capo della mobile che, poche ore dopo il controllo di polizia aveva già sguinzagliato i suoi dal medico di famiglia per sapere della moralità di Lino e Patrizia, dai residenti di via Ippodromo per sapere cosa avevano visto, dagli amici dell'Aldro che accoglieva in questura urlando che erano stati loro a scaricarlo anziché portarlo al pronto soccorso, che erano dei tossici, che Federico era morto per uno «schioppone», traduzione gergale di overdose. Il procuratore capo, intanto, escludeva perentorio le percosse smentito presto dagli esami macroscopici.
Ancora ieri, la linea di chi difende gli imputati è apparsa quella di invertire i ruoli e mettere sotto processo lo stile di vita di un ragazzo morto a faccia in giù, in una pozza di sangue, con le manette a stringergli i polsi dietro la schiena, dopo aver chiesto invano di smetterla con tutte quelle botte, che lui non respirava più. La perizia dirà di tracce lievissime di sostanze, i testimoni ammetteranno
qualche «esperienza» con le sostanze. Ma i legali dei poliziotti sembrano un disco rotto quando incalzano, stoppati talvolta dal giudice monocratico, i genitori e gli amici con cui Aldro passò quella che sembrava «una sera come tante»: sapevate se assumeva sostanze? L'avete visto bere quella sera? È vero che aveva acquistato eroina un mese prima? È vero che aveva dato tre tiri a uno spinello e sniffato smart drug (peraltro legali)? E' vero che aveva assunto due francobolli di Lsd? Ancora: lo avete mai visto praticare karate? Un po' poco, finora, per chi vorrebbe spiegare la morte di un ragazzo sfigurato con gli effetti di un fantomatico trip a scoppio ritardato.