all'Ippodromo prima della polizia. L'appello dei genitori del ragazzo
«Io alle 5 ero lì, a un quarto alle cinque... ero dentro la macchina, quando è arrivata la polizia.Erano... mah, le 5 e 30 mi pare, quando sono arrivati... s'è sentito discutere, si è sentito dire qualcosa anche un po' sostenuto... forse era il ragazzo che diceva qualcosa contro di loro: sentivo lui che diceva "basta"... hanno cominciato a litigare, non so... dopo io non sono stato lì molto, ho visto quando han cominciato a picchiare... insomma, quando han cominciato a dargli delle botte, gliene davano tante: mamma mia!... Poco dopo si è mossa della gente alla finestra, lassù, mi sembra... che abbiano aperte delle finestre! Insomma: ha preso tante di quelle botte, quel po' che son stato lì, picchiavano... ma picchiavano... io ho guardato un po' spiando, perché dopo... io sono andato via».
Aveva ragione da vendere Federica Sciarelli quando, in coda al tg3, ha annunciato su "Chi l'ha visto?" «una testimonianza nuova... una persona non giovane e ancora sconvolta da allora». La popolare trasmissione della terza rete non molla l'osso del caso Aldrovandi, il diciottenne ferrarese ucciso nel corso di un violentissimo controllo di polizia il 25 settembre 2005, e trasmette un servizio firmato da Dean Buletti che fa perno su una telefonata-choc (con la voce doppiata da un attore per tutelarne la privacy) giunta in redazione il giorno stesso del rinvio a giudizio per omicidio colposo dei quattro agenti, sei giorni fa.
Il capo della Procura di Ferrara, il giorno del funerale di Federico, faceva scrivere ai quotidiani ferraresi che non c'era "nessun collegamento tra le lesioni esterne e la morte". Il collegio di difesa dei poliziotti ha rilanciato la versione della morte per droga ripetutamente corretta alla luce delle risultanze, prima della controinchiesta della famiglia Aldrovandi, poi dell'indagine vera e propria nel frattempo ereditata dal pm Nicola Proto. Il fatto che ci sia una data, il 19 ottobre, a segnare l'inizio di un processo pubblico su quello che appare come un caso di "malapolizia", potrebbe aver dato animo a chi ha esitato a lungo prima di parlare. Al punto che un cartello ai cancelli dell'ippodromo, con scritto "Zona del silenzio", era sembrata la metafora di una città intimorita, quasi omertosa. Aveva ragione Patrizia Moretti, madre di Federico, a commentare il rinvio a giudizio come il «vero inizio». E ieri sera, con Lino, suo marito, autore di lettere toccanti a quel figlio mai più rientrato da una notte in discoteca, Patrizia ha ripetuto l'appello al testimone involontario della scena di ripetere quella versione al pm.
L'allontanamento di un'auto fu notato dagli agenti stessi - lo ha detto alla prima pm anche la donna che chiamò per prima il 112 - che misero in giro la tesi che fossero gli amici di Aldro ad averlo abbandonato in balia degli stupefacenti al parchetto dell'Ippodromo. Se la testimonianza risulterà attendibile, se questa persona era sul posto prima che arrivassero le volanti, allora le urla di Federico sarebbero la conseguenza e non la causa delle chiamate al 113. Tutto ciò alla luce della cosiddetta inchiesta-bis su carte e reperti "congelati" per un anno e mezzo nella cassaforte della polizia giudiziaria e nel freezer della scientifica. Il brogliaccio delle chiamate al 113 mostra una manomissione eclatante proprio sugli orari: al foglio 686 era stata registrata una prima chiamata per disturbo alla quiete pubblica in via Ippodromo. L'orario originale era stato però corretto a penna in 5e50, ma il successivo foglio 687 registrava la telefonata seguente (per un'altra richiesta d'intervento) alle 5e45. Qualcuno ha cancellato con dei tratti di penna il foglio 686 e aveva scritto sul foglio 688 una registrazione falsa con l'indicazione delle 5e50.
Fabio Anselmo, uno dei legali degli Aldrovandi, s'è detto convinto che il capo d'imputazione «non fotografi in modo completo il film di quell'alba: la prima parte l'abbiamo persa nei primi mesi d'indagine. I poliziotti intervenuti, colleghi dei quattro imputati, hanno interrogato a tappeto tutti gli abitanti della via. Perché l'hanno fatto e su incarico di chi? Questo non avrebbe dovuto succedere. Il magistrato avrebbe dovuto recarsi immediatamente sul posto, cosa che a noi risulta non essere accaduta. L'auto contro la quale si sarebbe fatto male Federico non è stata sequestrata, è stata pulita e riparata e sottratta all'esame dei periti del giudice. Avrebbero dovuto essere sequestrati i manganelli... Le indagini sono state affidate alla squadra di Pg diretta dal convivente di una degli indagati: convivente che quella notte, nei minuti immediatamente successivi alla morte di Federico Aldrovandi, a noi risulta essere stato ripetutamente chiamato dall'indagata stessa, telefonicamente. Questo non avrebbe mai dovuto succedere».