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Cinque anarchici uccisi. Le autorità parlano di incidente stradale. Per i loro compagni la verità è però un'altra
Giuseppe Galzerano
Fonte: Il Manifesto, 9 agosto 2013
9 agosto 2013

Sono ancora tante le vicende della storia sociale e politica avvolte nel mistero, sulle quali si vorrebbe far calare per sempre l'oblio e il disinteresse. Una di queste viene riportata alla nostra attenzione e memoria dal libro di Nicoletta Orlandi Posti Il sangue politico (Editori Internazionali Riuniti, Roma, 2013, pag. 256, €. 16,90), che indaga sulla morte di cinque anarchici di Reggio Calabria e sulla scomparsa di un dossier con i risultati di una coraggiosa controinchiesta sull'attività dei fascisti in Calabria.
In un incidente stradale, che appare subito strano, la notte del 26 settembre 1970 sull'autostrada del sole, all'altezza di Ferentino, la mini morris gialla partita da Reggio Calabria viene schiacciata da un autotreno partito da Salerno. Tre degli occupanti della macchina, Gianni Aricò e la sua compagna tedesca Annelise Borth, Angelo Casile, Luigi Lo Celso e Franco Scordo, morirono sul colpo e due qualche giorno dopo. Il più «vecchio» ha 26 anni e la Borth sfiora i 18 anni ed è in attesa di un bambino. Aricò ha girato l'Europa in autostop e in Belgio ha realizzato un documentario sugli emigrati calabresi che lavorano nelle miniere. A Reggio hanno fondato il circolo anarchico «La Baracca» e per la loro attività (volantinaggi, contestazione al film «Berretti verdi», manifestazione al porto per incitare i marinai all'obiezione di coscienza) vengono processati. Difesi gratuitamente dall'avvocato anarchico Placido la Torre di Messina sono assolti e al processo assiste Pietro Valpreda e altri anarchici venuti da Roma e dalla Calabria. In occasione degli attentati del dicembre 1969, Aricò, Borth e Casile vengono arrestati a Roma: interrogati dichiarano la loro totale estraneità e accusano i fascisti. Sua madre parte per Roma e chiede al Giovanni Leone, futuro presidente della Repubblica, di interessarsi del figlio, che sarà scarcerato dopo pochi giorni.
Il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro la Freccia del Sud proveniente da Torino deraglia provocando sei morti e numerosi feriti. Gli anarchici reggini accorrono subito a soccorrere i feriti e nei giorni successivi vollero capire cos'era successo. Il questore esclude l'attentato parlando di uno sbullonamento tra due carrozze. In quei giorni Reggio è interessata da una rivolta capeggiata e promossa dai fascisti di Ciccio Franco (che aveva coniato il motto Boia chi molla) e dalla 'ndrangheta per la questione del capoluogo regionale, scelto dai politici a Catanzaro. Gli anarchici denunciano la strumentalizzazione fascista della rivolta e iniziano un lavoro di controinformazione sulla strage ferroviaria. Nei giorni dei «moti di Reggio capoluogo» fotografano i «forestieri» che girano per la città. Tra loro, affermano, ci sono Junio Valerio Borghese ed altri personaggi della destra. Vengono minacciati con telefonate minatorie, pedinamenti, agguati e con l'assalto e la devastazione della sede.
A «inchiesta» conclusa spediscono il materiale all'anarchico romano Veraldo Rossi tramite il servizio postale, ma non verrà mai consegnato. Ne hanno però conservato copia, nascondendolo nella cuccia del cane. Decidono portare direttamente alla sede romana del settimanale anarchico Umanità Nova la borsa con i documenti e fissano un appuntamento con l'avvocato Edoardo Di Giovanni, che sta preparando la seconda edizione del libro-denunzia La strage di Stato. Aricò dice alla madre: «Abbiamo scoperto cose che faranno tremare l'Italia». Al padre di Scordo arriva la sera prima della partenza la telefonata di un amico, che lavora alla questura di Cosenza ed è in contatto con la polizia politica di Roma: «Se ci tiene a suo figlio, non lo faccia partire con gli anarchici. Li fermeremo».
Tra gli anarchici si rafforza la convinzione che sono stati uccisi in una strage camuffata da incidente stradale. Sul luogo dell'incidente non è rinvenuta nessuna borsa, nessuna cartella, nessuna foto, nessuna delle agende, dove gli anarchici hanno annotato nomi, fatti, date, luoghi e numeri di telefono. Sui verbali della Croce Rossa c'è scritto che i soccorsi giungono a mezzanotte. Sembra tutto normale. Invece no. Quella notte scatta il ritorno all'ora solare. Non erano trascorsi 30 minuti, ma un'ora e mezza, un tempo più che sufficiente per sottrarre il dossier e mascherare il pluriomicidio politico.
Per scoprire i lati oscuri di questo incidente - avvenuto proprio di fronte alla villa del comandante della X Mas e combattente della Repubblica di Salò e nello stesso luogo e con un incidente simile anni prima aveva perso la vita la moglie del principe nero - furono in tanti a mobilitarsi. A Salerno l'anarchico Giovanni Marini scopre che l'autista Aniello Alfonso e il proprietario Ruggero Aniello dell'autotreno, oltre che dipendenti di Valerio Borghese, sono iscritti al Msi. Proprio per questo Marini, dopo varie minacce, verrà aggredito dai fascisti di Salerno la sera del 7 luglio 1972: Franco Mastrogiovanni è accoltellato ma Marini, impossessatosi del coltello, uccide Carlo Falvella, per i cui funerali Giorgio Alimirante scende a Salerno.

Una lunga controinchiesta
Anche i fascisti parlano dell'incidente: l'avanguardista Carmine Dominici due anni dopo parla di omicidio e dieci anni dopo tre detenuti, Giuseppe Albanese, Giuseppe Sanzone e Walter Alborghetti, in un memoriale affermano che i 5 anarchici calabresi sono stati uccisi per ordine di Avanguardia Nazionale. Nel 1993 Albanese ribadì al giudice Guido Salvini che erano stati uccisi da una squadra di Valerio Borghese. Tonino Perna, cugino di Aricò, si batte per la riapertura delle indagini e chiede notizie sul dossier. La risposta del ministero dell'interno fu negativa e finora non è venuto fuori neanche un brandello di quei documenti e di quelle foto che avrebbero potuto far tremare l'Italia e per i quali morirono innocenti i cinque anarchici calabresi, ai quali il libro di Nicoletta Orlandi Posti rende omaggio riportando all'attenzione dell'opinione pubblica la vicenda degli anarchici calabresi. «Il loro sangue politico qui affiora di nuovo e continua a testimoniare», scrive Erri De Luca nella prefazione a questo libro, per il quale l'autrice ha esaminato un'immensa mole di carte giudiziarie, di cronache, di atti, di testimonianze sparpagliate e disunite e le ha messe insieme per chiedere verità e giustizia sulla morte degli anarchici calabresi.


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